Abbiamo avuto per anni un’unica, granitica certezza: i contenuti online dovevano raggiungere la prima posizione in SERP. Altrimenti prospect e clienti, cercando i nostri servizi, avrebbero trovato quel competitor che (tra le altre cose) non lavora bene come voi.
Ma ecco che dal futuro dell’online arrivano AI Overviews e assistenti conversazionali e danno una spallata all’unico, vero king: il contenuto in prima posizione.
Scritto con sangue, sudore e competenza, il pillar di 3000 parole, refreshato negli anni, fatica ora a difendere il suo monopolio sull’argomento. Quel contenuto inedito, autorevole, basato su fonti attendibili, frutto dell’esperienza, è stato fagocitato e reimpastato dall’AI overview che lo liquida en passant con un link.
Ci sta che tra le aziende che ci hanno creduto, aleggi più di una domanda: se Google risponde al posto nostro, ha ancora senso investire in SEO e copywriting? Come possiamo garantire che i nostri contenuti non vengano solo “inghiottiti” dai sistemi generativi, ma citati con il nome del nostro brand? E ancora: dobbiamo scrivere pensando al posizionamento classico in SERP, o dobbiamo cambiare approccio e imparare a scrivere per l’AI?
Tutte domande legittime che meritano risposte chiare. In questo articolo guarderemo alla SEO content strategy con occhi nuovi per capire:
- perché non è morta (ma si è trasformata ed evoluta in GEO e AEO copywriting)
- quali “pratiche SEO” restano fondamentali nel web copywriting
- e come scrivere oggi per essere trovati, citati e ricordati da Google, dalle AI, e soprattutto dalle persone.
Perché il SEO copywriting non è morto (ma si è trasformato)
I dubbi sulla validità del SEO, all’inizio, sono venuti persino a noi, “gente del mestiere”: se molti utenti ottengono risposta direttamente dalla SERP, perché dovremmo impegnarci tanto su contenuti di valore? I primi dati di settore di fatto ci dicono che l’arrivo delle AI Overviews ha cambiato il comportamento degli utenti. Cito ad esempio uno studio di Ahrefs, una delle piattaforme SEO più autorevoli a livello internazionale. Prendendo in esame oltre 300.000 keyword, ha rilevato che la presenza di un’ AI Overview nella SERP porta a un calo medio del 34,5% del CTR sul primo risultato organico. Dopotutto, se l’AI offre una risposta sintetizzata, è chiaro che i clic sulla pagina che comparirebbe al primo posto crollano drasticamente. Ma questo dato, preso da solo, racconta solo una parte della storia.
La visibilità non sparisce: cambia forma
Oggi, i risultati organici non spariscono: continuano ad apparire accanto all’Overview — nel cosiddetto side panel — e restano cliccabili. E anche se i clic provenienti da queste nuove sezioni sono meno numerosi, non sono affatto un miraggio.
Come ha osservato Elisa Contessotto (Responsabile della formazione di SEOZoom) in un nostro talk, questa rivoluzione non azzera la visibilità: la sposta.
Probabilmente vedremo meno traffico complessivo, ma più traffico profilato, e questo conta più dei dati sulle sessioni organiche. Un cambiamento importante, che ci chiede un adattamento su tutti i fronti: sul piano della scrittura e anche sul piano della misurazione. E il fatto che siano già nati strumenti di analisi per misurare il traffico potenziale al sito dalle Overview, come la funzione AI Overview in SEOZoom, ne è la prova.
Le AI come nuovi canali di acquisizione
Ma non è tutto. I contenuti che scriviamo per il nostro sito o per il blog sono oggi la porta d’ingresso ai modelli generativi come Chat GPT o Gemini. Nei dati di GA4 di molti siti (almeno, per nostra esperienza), questi strumenti cominciano a comparire come nuove fonti di traffico: questo vuol dire che i nostri testi vengono letti, compresi e citati dalle AI, ma anche dagli utenti veramente interessati a un argomento, che non si fermano alla sola risposta dell’AI e vogliono approfondire, consultando direttamente la fonte menzionata.
Il SEO copywriting non è quindi morto: ha solo cambiato funzione. Per citare Ivano Di Biasi, “Non faremo più le visite di prima, ma potremo essere presenti, menzionati e citati: e questo, oggi, vale molto di più in termini di autorevolezza del brand.”
Scrivere per la GEO e l’A-E-O: tecniche editoriali per essere citabili
E allora, se l’obiettivo è essere citati — come si costruisce un contenuto citabile dalle AI, senza perdere il brand per strada?
Dobbiamo progettare testi che possano essere estratti e ricontestualizzati senza perdere senso. In altre parole, scrivere per la GEO (Generative Engine Optimization) e per la AEO (Answer Engine Optimization). Due approcci diversi, ma complementari: il primo guarda ai motori generativi come Chat GPT o Perplexity, il secondo agli answer engine come gli AI Overviews di Google.
Non si tratta più quindi di scegliere una parole chiave, di ottimizzazione on-page: scrivere per essere trovati vuol dire curare l’ architettura editoriale: organizzare i contenuti in modo che rispondano a domande reali, siano leggibili a blocchi e comunichino autorevolezza.
GEO e AEO sono due prospettive diverse di questa stessa strategia.
GEO: scrivere per i motori generativi
Quando scriviamo per i motori generativi come Chat GPT o Perplexity, dobbiamo immaginare che i nostri testi possano essere estratti e incollati in una risposta. Questi sistemi infatti non leggono l’articolo dall’inizio alla fine come farebbe un utente: vanno a cercare blocchi di testo che rispondono subito a una domanda e li ricompongono insieme ad altre fonti.
Se il paragrafo ha senso solo all’interno di un discorso più lungo, l’AI non riesce a estrarlo senza “tagliare” il contesto. Se invece è autonomo, chiaro e completo, ha molte più possibilità di essere scelto ed esposto nella risposta. Vediamo nel concreto le best practice.
Scrivere contenuti estrapolabili, chiari e indipendenti
Ogni domanda specifica deve avere una risposta chiara e autonoma, come un micro-articolo nel macro-contenuto. Strutturare H2 e H3 che coincidano con le domande reali dell’utente aiuta sia l’AI sia il lettore a orientarsi.
Organizzare i testi in chunk
Blocchi tematici su un singolo argomento, con un titolo descrittivo e un paragrafo introduttivo che contenga già la risposta sintetica. Questo aumenta le probabilità che l’AI estragga e riporti il testo senza perdere il senso del discorso.
Mappare le domande (cluster content)
Prima ancora di scrivere, va costruita una mappa delle domande che l’utente potrebbe porsi, dal livello base all’avanzato.
È il principio del fan-out che Stefano Vanetti spiega nel nostro articolo sull’impatto dell’Ai sulla SEO: una keyword genera un ventaglio di micro-query. Strumenti come Also Asked o SEOZoom Question Explorer aiutano a individuare e ordinare queste domande in cluster tematici.
Interlinking strategico
La pagina pilastro deve collegarsi a tutti i contenuti del cluster e viceversa, creando una rete semantica che rafforza la topical authority.
È il modo più naturale per “insegnare” alle AI che il nostro sito copre in profondità un argomento.
In questo modo ogni sezione diventa un “mattoncino editoriale” pronto per essere riusato dai motori generativi senza perdere coerenza.
AEO – Scrivere per le risposte di Google
Con gli AI Overviews e gli answer engine, la logica è diversa: qui l’AI costruisce un riepilogo e mostra direttamente le fonti. Per avere la possibilità di comparire lì dentro, i contenuti devono essere pensati come risposte sintetiche, facili da leggere e da interpretare.
Vediamo anche in questo caso quali sono le buone pratiche.
Ottimizzare per risposte brevi e dirette
Evitare giri di parole o tono promozionale.
Usare il formato Q&A
Secondo un’analisi di Seer Interactive, oltre il 31% delle query informazionali su Google inizia con “what” o “how”. Sono proprio queste query a far scattare più spesso le AI Overviews, perché esprimono un bisogno di spiegazione o approfondimento. Per questo motivo, strutturare i titoli H2 e H3 in formato domanda e dare risposte concise nei paragrafi aumenta le probabilità che il testo venga riconosciuto come pertinente ed estratto dall’AI.
Applicare markup semantici
Per guidare Google nella lettura della struttura“scrivere bene” non basta: serve parlare anche al motore. Usare schemi come FAQPage, HowTo o Article aiuta Google a interpretare correttamente la struttura e il significato del contenuto. L’importante è che i dati strutturati corrispondano al testo visibile: altrimenti rischiamo penalizzazioni (se serve, chiedete quindi una mano al vostro SEO specialist!).
Integrare elementi visivi e tabelle
Aumentano leggibilità e probabilità di essere mostrati in Overview. Le AI multimodali infatti non si limitano al testo: leggono immagini, grafici, infografiche e video. Google stesso consiglia di integrare elementi visivi di qualità e tabelle riassuntive: migliorano la leggibilità per l’utente e la “citabilità” per l’AI.
Quindi, GEO lavora sulla modularità del contenuto (per i motori generativi), mentre AEO punta sulla struttura e immediatezza (per le risposte in SERP). Due approcci diversi, ma che insieme aumentano la probabilità che i contenuti siano scelti e citati.
Gli evergreen del SEO copywriting: studio del search intent, autorevolezza e competenza
Lo avevamo anticipato: molti dei fondamenti del SEO copywriting ben fatto restano validi, e in alcuni casi diventano ancora più determinanti.
Anche se l’ecosistema digitale cambia velocemente con l’emergere delle AI, le regole di SEO on page non hanno perso la loro rilevanza.
Conoscere a fondo le nostre buyer personas (la base di una buona comunicazione, in qualunque canale) è diventato un passaggio chiave non solo per interpretare i bisogni dei nostri interlocutori, ma anche per prevedere le loro domande e le loro ricerche.
Allo stesso modo, l’autorevolezza del contenuto resta una regola imprescindibile: diventa fondamentale produrre contenuti inediti, basati sulla nostra esperienza e sulle competenze verticali.
Struttura delle pagine e SEO tecnica
Partiamo dalle basi della SEO on page: meta title, meta description, intestazioni (H1–H3), struttura gerarchica e dati strutturati restano fondamentali. Google ha ribadito che, per apparire nelle esperienze basate su AI, le pagine devono essere indicizzabili, accessibili e con contenuti sostanziosi. La cura tecnica non è un dettaglio: è la condizione minima per essere presi in considerazione.
Ricerca delle keyword e comprensione dell’intento
Le AI Overviews si attivano soprattutto per query informazionali e domande complesse.
Questo rende ancora più importante lavorare sulle long tail keyword e, in particolare, sulle query conversazionali, che attivano più facilmente le risposte generate dall’AI.
Come sempre, però, il punto non è solo “trovare le parole giuste”, ma capire l’intento dell’utente: perché usa quella query, quale bisogno reale sta cercando di soddisfare e come si inserisce questa ricerca nel suo percorso complessivo. E non è semplice, perché le query conversazionali sono meno prevedibili: richiedono di immedesimarsi nel flusso di ragionamento dell’utente e anticiparne le domande.
Allo stesso tempo, i dati mostrano che la ricerca tradizionale non è affatto morta.
Secondo il report AI Search Visits Surging in 2025 di BrightEdge, le visite dai motori AI rappresentano ancora meno dell’1% dei referral totali, mentre la ricerca organica continua a generare la quota più alta di traffico e conversioni.
In sintesi, lavorare sulle keyword resta vitale per due motivi:
- perché molte ricerche portano ancora traffico organico diretto
- perché le AI stesse ragionano a partire dalle long tail, anche se in forme conversazionali sempre più difficili da anticipare.
Analisi delle buyer personas: il vero punto di partenza
A questo punto dell’articolo, saremo tutti d’accordo sul fatto che provare a ricostruire il flusso logico dell’utente nella GEO nell’AEO è ancora più importante di quanto già non fosse nella SEO. E dunque, diventa fondamentale conoscere e sapere analizzare le nostre buyer personas.
Per comprendere davvero il perché dietro una ricerca, infatti, dobbiamo capire chi c’è dall’altra parte dello schermo. Ma attenzione: quando parliamo di personas non ci riferiamo a etichette demografiche (“donna, 35 anni, marketing manager”), ma a profili realistici, costruiti sulla base di bisogni reali, obiettivi, motivazioni e ostacoli percepiti, frutto di un’analisi che mira a ricostruire il processo decisionale dell’utente.
Solo partendo dai bisogni reali di chi deve trovare il nostro contenuto possiamo capire quali domande si pone, a che punto della customer journey si trova e che tipo di risposta si aspetta. E questo è possibile solo se, per ogni fase del percorso che va dalla scoperta alla conversione, riusciamo a individuare:
- le esigenze e i trigger che innescano la ricerca
- le domande chiave che guidano la valutazione
- le resistenze e obiezioni che ostacolano la decisione
In questo senso, conoscere bene le buyer personas significa ricostruire il flusso di domande che accompagna un bisogno, anticipando le micro-query che l’AI genera nei suoi fan-out. Più riusciamo a comprendere questo percorso, più aumentano le probabilità che i nostri contenuti vengano riconosciuti e citati come fonti pertinenti.
Esperienza, competenza e autorevolezza e affidabilità
Sia Google che i motori AI privilegiano fonti credibili, verificabili e riconoscibili. È il principio alla base dell’E-E-A-T (Experience, Expertise, Authoritativeness, Trustworthiness): un modello che definisce come valutare la qualità dei contenuti online e l’affidabilità di chi li produce.
Oggi, però, questo principio assume un significato ancora più profondo. Se prima serviva per dimostrare competenza agli algoritmi di ricerca, ora è diventato il linguaggio stesso con cui comunichiamo autorevolezza alle intelligenze generative.
Le AI non si fidano dei testi “belli”: si fidano dei testi fondati, verificabili e firmati da voci competenti. Ecco perché diventa centrale il metodo giornalistico e la verticalizzazione delle competenze del copywriter. Scrivere di ciò che si conosce, studiare prima di scrivere, usare fonti solide e dati verificabili non sono buone abitudini, ma condizioni minime per essere citati.
La rivalsa del metodo giornalistico: fornire fonti verificabili
In un panorama dove chiunque può generare testo, la differenza la fanno la precisione fattuale e l’esperienza diretta. Cosa vuol dire questo?
Prima di tutto che le affermazioni — soprattutto quelle quantitative o scientifiche — devono essere verificabili. Per questo è fondamentale (lo era anche prima, beninteso) linkare a fonti primarie: studi scientifici, report governativi, ricerche ufficiali, dati statistici. È un segnale di affidabilità semantica che AI e motori di ricerca riconoscono come criterio distintivo di trust.
L’esperienza diretta per creare contenuti inediti
L’esperienza diretta rafforza ulteriormente il valore del contenuto, perchè oltre a garantire precisione fattuale, è la base per creare contenuti inediti. In un mondo saturo di contenuti generati da AI, il valore risiede in ciò che solo tu puoi produrre o divulgare:
- ricerche
- sondaggi e case study
- analisi di dati proprietari
- esperienze dirette e insight esclusivi.
Sono questi gli elementi che creano un divario competitivo che l’AI non può colmare, ma solo citare.
Non c’è autorevolezza senza branding editoriale
Last but not least: essere corretti non basta: bisogna essere riconosciuti come autorevoli. La costruzione del trust semantico passa anche da elementi concreti di branding editoriale, dalla cura delle pagine autore e “Chi siamo”, importanti perché raccontano la storia, la missione, le competenze. Per essere credibili e autorevoli però devono anche mostrare i volti del team, contenere link a biografie, pubblicazioni e profili social.
Competenza ed esperienza umana, i veri punti di forza
Tutto questo conferma quanto la competenza umana quindi resti fondamentale, anche nell’era dell’AI generativa. È un fatto, almeno per ora: sono le nostre competenze e le nostre conoscenze ad alimentare la capacità dell’AI di fornire risposte.
Eppure, l’AI è già diventata uno strumento di lavoro quotidiano per chi scrive: Chat GPT, Claude, Gemini, fanno parte della cassetta degli attrezzi di ogni copywriter (o quasi), e questo sembra fare a botte con la necessità di autenticità umana di cui abbiamo parlato.
Per chi lavora nella scrittura professionale, quindi, c’è anche un’altra dimensione da affrontare: non solo scrivere per l’AI, ma anche scrivere con l’AI.
Quale atteggiamento dobbiamo avere, da copywriter o da supervisor di un team content o un team comunicazione, nei confronti della “macchina”? Un atteggiamento democristiano: nessuno ci chiede di scegliere tra l’uomo e la macchina. Ciò che cambia rispetto al passato è la possibilità di utilizzare mezzi che potenziano e velocizzano alcuni passaggi del nostro lavoro.
Nei prossimi paragrafi esploreremo limiti e possibilità dell’AI copywriting, nell’era della SEO, della GEO e dell’AEO, a partire da una domanda che suona già vecchia, e che invece è ancora attuale: come reagisce Google a contenuti scritti con l’AI?
A Google non piace questo elemento: quando l’AI copywriting compromette il posizionamento
Partiamo dall’AI copywriting per la SEO e l’AEO e sfatiamo subito un falso mito: Google non condanna l’uso dell’AI generativa nei contenuti. Ciò che può penalizzare il posizionamento di un contenuto scritto con l’AI è un uso scorretto dello strumento. Nelle sue linee guida chiarisce che i testi prodotti in modo esclusivamente automatico, senza alcun valore aggiunto per l’utente, rientrano nello scaled content abuse e vengono trattati come spam su larga scala.
In altre parole, a essere penalizzato è il comportamento di chi genera pagine a raffica, prive di originalità, accuratezza o contesto. Un metodo di lavoro che oltre a compromettere il posizionamento organico, riduce anche le possibilità che quei contenuti vengano considerati affidabili dai chatbot e dagli strumenti basati sull’AI.
Al contrario, quando l’AI viene impiegata come supporto (per fare ricerca, organizzare idee o dare struttura a un testo) e il contenuto finale rispetta i principi di qualità, pertinenza e trasparenza, può trasformarsi in una risorsa valida sia per gli utenti sia per i motori di ricerca.
Scrivere con l’AI senza perdere autorevolezza e originalità
Usata con consapevolezza e metodo, l’AI può quindi diventare un alleato prezioso per velocizzare i flussi di lavoro, potenziare la ricerca e supportare la scrittura.
L’importante è avere sempre ben chiaro un concetto: l’AI non sostituisce il copywriter, ma lo assiste. Può aiutarci a trovare connessioni, sintetizzare dati, proporre angoli di lettura e suggerire formati, ma la responsabilità del contenuto — la sua coerenza, la sua profondità, la sua originalità — resta sempre umana.
L’AI come strumento di ricerca e analisi
Le nuove funzioni “agente” di strumenti come Chat GPT, Perplexity o Gemini stanno trasformando l’AI in un vero e proprio assistente di ricerca intelligente.
Non si limitano più a generare testo, ma esplorano le fonti, le sintetizzano, e permettono di:
- individuare rapidamente studi, report o paper accademici pertinenti a un tema;
- confrontare diverse prospettive e verificare la coerenza delle fonti;
- estrarre dati utili per costruire paragrafi informativi accurati o supportare citazioni;
- creare schede di approfondimento o mini-summary di fonti complesse da usare come base per la scrittura;
- sintesi e revisione: riassume contenuti complessi, individua incongruenze, migliora la leggibilità.
Ma l’AI resta uno strumento da governare: i suoi output vanno sempre validati, integrati con dati reali e arricchiti da esperienza diretta e insight umani.
L’obiettivo quindi non è delegare, ma collaborare. L’AI amplia il nostro campo d’azione, ma solo la competenza, la sensibilità e l’esperienza di chi scrive possono darle una direzione.
In un ecosistema in cui le macchine producono contenuti a ritmo costante, il valore torna alle persone: a chi sa usare l’AI per trovare fonti più solide, raccontare storie più vere e scrivere testi che — pur generati in parte da un algoritmo — suonano autentici, coerenti e riconoscibili.
L’AI dà, l’AI toglie: mai affidarci totalmente
Arrivati a questo punto dell’articolo sarebbe anche superfluo dirlo: se la competenza umana resta il faro che illumina il valore del contenuto, affidarsi ciecamente all’AI ci porta in direzione opposta. Un uso acritico di questo strumento non ci aiuta a creare testi autorevoli né, tantomeno, memorabili e originali. E questo perché ha ancora tanti limiti:
- a volte può fornirci informazioni errate, datate o inserire fonti non verificate. La verifica del dato quindi deve essere sempre nostra: è importante fare un confronto con fonti primarie e attendibili.
- I testi prodotti tendono a uno stile neutro, rigido, privo di sfumature. Senza una guida da parte nostra, un brief strutturato, produrremo contenuti che non rispettano la voce del brand. Il copywriter che chiede l’aiutino deve all’AI saper configurare l’AI, fornire esempi e guidarla perché produca testi coerenti con l’identità aziendale.
- Se tra i valori del nostro brand c’è quello dell’inclusività, non possiamo fidarci di un modello generativo. I modelli riflettono i pregiudizi presenti nei dati di addestramento: la revisione umana è fondamentale per garantire contenuti inclusivi, rispettosi ed etici.
- L’AI è abile nel generare pattern, ma fatica a costruire narrazioni coinvolgenti, a trasmettere emozioni e a proporre prospettive originali. Lo storytelling fatto bene è ancora “cosa nostra”: la capacità di raccontare storie che risuonino con il pubblico resta, ancora oggi, un tratto esclusivamente umano.
Cambia la tecnologia, ma non le regole di un buon testo
È arrivato il momento di tirare le somme, alla fine di questo lungo articolo. Cosa ci portiamo a casa?
AI Overview e chatbot hanno cambiato profondamente il modo in cui i contenuti vengono fruiti: per questo oggi serve progettare testi strutturati in blocchi chiari, organizzati anche in forma di domanda e risposta, arricchiti da dati strutturati e da elementi visivi.
Eppure, se la tecnologia cambia, le regole di un buon testo che porta risultati restano le stesse. La pertinenza rispetto all’intento di ricerca, la capacità di rispondere con precisione alle domande degli utenti, la chiarezza espositiva e la linearità restano fondamentali perché sono esattamente i criteri con cui le AI scelgono cosa citare.
Così come non è cambiato il valore del metodo giornalistico: ricerca accurata delle fonti, esperienza diretta o dati originali, informazioni inedite che aggiungono reale valore. Sono queste le caratteristiche che distinguono un contenuto generico da uno che Google e le AI considerano autorevole e degno di menzione.
Alla fine della fiera, ciò che fa posizionare un testo oggi è lo stesso che lo faceva emergere ieri: contenuti utili, autorevoli e ben scritti, capaci di parlare agli utenti. Un risultato che richiede tempo, competenza ed esperienza: è più impegnativo che generare testi in blocco con un modello di AI, ma proprio per questo resta la vera bussola per distinguersi. La tecnologia evolve, ma il principio non cambia: un buon contenuto nasce dall’incontro tra rigore, chiarezza e attenzione reale alle persone.