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Lavoro e genitorialità vanno d’accordo? – Intervista a Valentina Falcinelli

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Pandemia e lockdown non hanno mutato la società e nemmeno il mondo della comunicazione, ma hanno il merito di aver accelerato alcune dinamiche (non solo in ottica del mero marketing), ponendo molte riflessioni sul work-life balance. Tra queste ce n’è una in particolare che mi tocca da vicino: il legame tra lavoro e genitorialità.

Nella mia vita ho affrontato tante sfide. Ho iniziato a lavorare durante l’università, scrivendo per mensili e quotidiani. Sono passato da lavoratore dipendente a libero professionista, per poi tornare in agenzia in età più matura. Ho collaborato con tantissime realtà e vissuto un buon numero di esperienze, ma nulla di tutto questo mi ha preparato ad affrontare ciò che è successo dopo la nascita di mia figlia. Perché tutto è cambiato.

Purtroppo nel 2021 – ma diciamo pure 2022 – c’è ancora tanto da dire. Vuoi perché molti lavoratori/lavoratrici non sono ancora tutelati nella loro paternità/maternità, vuoi perché il mercato del lavoro fatica ancora oggi a comprendere i ruoli dei genitori lavoratori. Senza considerare la disparità di genere: nell’anno del Covid, in Italia 96 mila madri hanno perso il lavoro e tra queste 4 su 5 hanno figli con meno di 5 anni.

Come si coniuga lavoro e paternità/maternità? E se dovessimo allargare questa domanda a imprenditoria e smart working? Sulla scia di altre interviste ho voluto approfondire questi temi con una grande professionista e amica, Valentina Falcinelli. CEO di Pennamontata, formatrice e copywriter di talento, Valentina è anche madre da poco più di un anno, mantenendo una grande riservatezza. Ecco perché inizio così…

Per certi versi questo è un coming out: come mai hai deciso di mantenere riservate gravidanza e maternità? Il tuo lavoro ha influito sulla tua decisione?

Sono una persona molto riservata. Negli anni ho imparato a custodire gelosamente quello che è mio e mio soltanto: la mia vita privata. Non condivido foto di vacanze, compagno, casa… Figuriamoci quelle di un figlio! Il mio lavoro non c’entra nulla, quindi: questa scelta è dettata più che altro da un motivo squisitamente personale.

Ho comunicato di aver avuto un figlio solo un anno esatto dal parto, nella mia newsletter Quel che Vale, perché anche se non ho alcuna intenzione di sovraesporlo, o anche solo di esporlo e basta, mio figlio fa parte della mia vita. È la mia vita.

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Valentina Falcinelli

Com’è cambiata la tua vita professionale e privata da quando sei diventata madre? 

Ehhhhhh. È cambiata tanto, banalmente perché è cambiato proprio il mio bioritmo. Da quando è nato mio figlio — a dire il vero anche da prima — la notte non dormo più. Prima per il reflusso mortale e per i calci che mi tirava il piccoletto sulle costole quando era ancora nel pancione, poi per le sue fasi veglia/sonno alterate (inesistenti!) quando ne è uscito. Il mio è un bimbo curioso, simpatico, mangione, affettuoso ma. Ma di notte non dorme. Fa “puntatine” di un’ora, due, tre al massimo; spesso resta sveglio per due ore nel cuore della notte; altre volte decide di svegliarsi alle quattro e mezza e di saltare come un grillo manco fossero le dieci. E questo per me significa trascorrere nottate infinite, alzandomi di continuo, dimenticandomi per sempre di cosa sia la fase REM. Questo a livello fisico e mentale non aiuta, c’è poco da girarci attorno, e non ho intenzione di edulcorare la pillola. Prima del compimento di un anno di vita, poi, è rimasto a casa con me e il papà e lavorare è stato difficilissimo, se non impossibile. Un bambino piccolo richiede tutte le attenzioni del mondo e dividersi tra il ruolo di imprenditrice, strategist e mamma mi ha obbligata ad attingere alla valigetta dei super poteri. Per fortuna non sono sola e il lavoro in tandem col suo meraviglioso papà alleggerisce a entrambi le rispettive fatiche genitoriali.

Dopo questo excursus, provo a rispondere alla tua domanda. La vita un figlio te la cambia, per forza di cose te la cambia. Te la cambia anche se dorme di notte, a differenza del mio. Di fronte ai tuoi bisogni, ci sono i suoi; prima del tuo benessere c’è il suo. E anche se in aereo dicono che la mascherina dell’ossigeno te la devi mettere prima tu, nella vita di tutti i giorni ti togli l’ossigeno per darlo alla tua prole.

Il mio lavoro mi permette flessibilità, ma relativamente: sono un’imprenditrice, ho 10 stipendi da pagare ogni mese e non posso permettermi di tirare i remi in barca. Questo, in soldoni, vuol dire che non mi sono mai davvero fermata né prima né dopo il parto, perché c’erano sempre lavori da portare avanti, email a cui rispondere, progetto da seguire e presenza da far sentire nonostante l’home working… Essere neomamma e imprenditrice allo stesso momento è davvero difficile. Ma si fa, eh. Tutto si fa quando si deve — e fisico e mente te lo permettono. 

Esistono delle resistenze del mercato del lavoro verso i genitori? 

Ci sono ancora titolari di azienda che in fase di colloquio chiedono alle donne se hanno figli o intenzione di averne a breve. Per dire. Ci sono imprenditori che non assumono donne perché prima o poi potrebbero diventare mamme. Ci sono aziende che, per lo stesso motivo, ai “piani alti” le donne non ce le fanno salire.

Le resistenze ci sono, e dire il contrario sarebbe mentire, perché un genitore ha, come dicevo poco fa, priorità del tutto diverse da un non-genitore: i figli vengono prima di tutto. Se stanno male, se hanno il raffreddore, e se non ci sono nonni o baby sitter…

Chi non ha un figlio pensa, e a ben vedere, solo alla propria, di salute; con un figlio il “rischio di giorni di permesso” aumenta. Praticamente raddoppia. E i titolari si fanno i conti in tasca: conviene assumere un genitore? Conviene assumere una mamma? O una donna che lo diventerà? Questo è il terreno in cui affondano le radici diverse forme di resistenza imprenditoriale più infestanti della gramigna.

Dati alla mano e cronache in prima pagina, spesso abbiamo a che fare con titolari che cambiano trattamenti/aspettative verso un padre e una madre. Da cosa nasce questa disparità?

Una donna ha 5 mesi di maternità, prolungabile; un uomo pochissimi giorni di congedo parentale. Ma questo non dipende dall’azienda, ovviamente. Io inizierei col dare almeno un mese anche ai padri, per accompagnarli alla scoperta della nuova vita che gli scombinerà la loro, e per permetter loro di prendere per mano le compagne, provate da una delle esperienze più sfibranti, a livello fisico e mentale.

Secondo Eurostat le donne percepiscono uno stipendio dal 3,8 al 17% inferiore rispetto a quello degli uomini. 

Per quanto riguarda il cambiamento di trattamento/aspettative non mi sento di rispondere nello specifico perché sono situazioni molto distanti dalla mia realtà imprenditoriale — pur avendo nel mio team una neomamma e una mamma. Ho letto per esempio di casi di mobbing verificatisi dopo il rientro dal congedo di maternità: è vero che una piccola azienda può avere necessità di rivedere il proprio organico ed è abbastanza normale che possa succedere quando manca una risorsa (e in aziende piccole la mancanza di un singolo individuo pesa come un macigno!). Io ne so qualcosa, e parlo per esperienza diretta. Ma emarginare e demansionare non sono soluzioni umanamente, e professionalmente, condivisibili. Almeno per come la vedo io.

La strada viabile è, a parer mio, quella che porta a un dialogo sincero e a un rapporto costruttivo, dove si può vincere entrambi. Vorrei aggiungere un’altra cosa: un’azienda giusta, non voglio dire illuminata, ma “umana”, cerca di comprendere le esigenze delle sue persone, al netto di genitorialità o meno, e le aiuta a vivere ogni momento con la giusta serenità (per esempio l’home working potrebbe essere un aiuto concreto per un neo genitore). Anche per questo di recente ho chiesto a una consulente di condurre un assessment comportamentale in Pennamontata, la mia azienda: per capire come valorizzare al meglio le risorse, nei loro ruoli attuali o futuri, anche fuori da Pennamontata, e aiutarle a interagire all’interno del gruppo in un’ottica di crescita condivisa.

E soprattutto: è colmabile? 

Con difficoltà. Con esempi virtuosi. Magari anche col supporto dello Stato. Di disparità di genere come questione strutturale ne parla mille volte meglio di come farei io Annamaria Testa in un suo recente articolo su Nuovo e Utile.

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Lo smart working è uno strumento utile o una lama a doppio taglio per genitori lavoratori? O nessuna delle due? 

Nel mio caso parlo di home working per onestà intellettuale. È certamente difficile lavorare mentre si ha a due passi un neonato che ogni tre per due ha bisogno di cure e attenzioni, ma se abbiamo la possibilità di farci aiutare dai santi nonni, o di avere una tata, vivere la quotidianità col pargolo può essere un vantaggio. Molte mamme sono pervase dal senso di colpa per l’abbandono e questa soluzione potrebbe aiutarle; altre chiedono di tornare in ufficio proprio perché hanno bisogno di recuperare la propria quotidianità e i propri spazi; altre ancora vorrebbero adottare un approccio ibrido — lavoro in presenza in ufficio misto a home working. In ogni caso la comunicazione può aiutare a far quadrare il cerchio e a trovare un punto di contatto tra azienda e collaboratrici. Laddove possibile — e lo è molto spesso — direi di non imporre ma di parlare e trovare una soluzione condivisa, accettabile, soddisfacente.

C’è un modo per bilanciare lavoro e famiglia? O è un “mestiere per equilibristi/e”? 

Necessità fa virtù, Matteo. E comunque un corso di passeggiata sulla fune a 10 metri di altezza con sotto leoni e coccodrilli può aiutare.

Oltre alle politiche sociali del Governo, quali misure generali di welfare aziendale ti auguri che possano essere introdotte nel 2022 per tutelare padri e madri? 

Premesso che alcune misure sono adottabili forse solo da realtà più strutturate, ecco la mia personale top three:

  • Sportello dedicato: uno spazio con psicolog* per parlare della nuova esperienza genitoriale in relazione al proprio lavoro.
  • Home working: la possibilità di scegliere se lavorare da casa e quanto farlo (combinando anche le esigenze aziendali).
  • Aumento del congedo parentale per i padri.

Ultima domanda: un consiglio per padri e uno per le madri (che lavorano)? 

Provate ad aprire un canale di confronto e dialogo costruttivo con l’azienda, perché magari le vostre esigenze potrebbero essere compatibili con quelle della “proprietà”. E confrontatevi anche con colleghi e colleghe che, come voi, sono genitori: vi sentirete meno sole e meno soli