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Accessibilità siti web: perché migliora anche la SEO

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Quando parliamo di accessibilità dei siti web e SEO, spesso ci immaginiamo due mondi separati: uno legato all’etica e all’inclusione, l’altro più tecnico, focalizzato sulla visibilità e sul posizionamento.

Ma la verità è che questi due ambiti sono strettamente collegati. Lo scopo finale è sempre lo stesso: costruire siti web accessibili, chiari, ben strutturati, comprensibili e fruibili facilmente da tutti, anche da Google. Un sito accessibile, infatti, non è solo leggibile da ogni tipologia di utente, ma anche più avvantaggiato in termini di performance e posizionamento.

In questo articolo ti mostriamo perché l’accessibilità dei siti web è strettamente legata alla SEO, e perché chi si occupa di ottimizzazione dovrebbe considerare l’inclusività come parte integrante della propria strategia.

HTML semantico: perché è fondamentale anche per la SEO

L’HTML semantico non riguarda solo la pulizia del codice: è una base strutturale che aiuta sia gli utenti sia i motori di ricerca a orientarsi all’interno di una pagina. Dare significato agli elementi – e non solo forma – permette di costruire interfacce più leggibili, accessibili e comprensibili.

Un codice scritto in modo semantico comunica chiaramente la funzione di ogni blocco: dove inizia la navigazione, dove si trova il contenuto principale, cosa rappresentano i pulsanti o le sezioni laterali. Questo non solo migliora l’esperienza di chi naviga, ma semplifica anche il lavoro di Google durante l’indicizzazione.

In pratica, significa usare i tag giusti per ogni funzione:

  • <header> per l’intestazione
  • <nav> per la navigazione
  • <main> per il contenuto principale
  • <section> per suddivisioni tematiche
  • <article> per gli articoli
  • <footer> per il piè di pagina
  • <aside> per contenuti complementari

Ogni tag ha un valore semantico specifico che, se usato correttamente, aiuta sia le persone sia i motori di ricerca a comprendere meglio la struttura e la funzione degli elementi presenti nella pagina.

Quando il codice è strutturato in modo coerente, si crea un ponte solido tra il contenuto e chi lo interpreta: utenti con disabilità, tecnologie assistive… e anche Google.
L’HTML semantico, infatti, non è solo un aiuto per la navigazione umana, ma anche per l’interpretazione algoritmica. È uno strumento che migliora la leggibilità del sito su tutti i livelli.

Ma cosa cambia davvero, lato SEO, se la struttura è semantica?
Vediamolo nel concreto.

Aiuta Google a leggere meglio le pagine

Quando Google visita un sito, legge il codice. Un codice semantico gli semplifica enormemente il lavoro: capisce subito dove si trovano il menu, il contenuto principale, i pulsanti di azione. Questo significa che indicizza meglio le pagine e interpreta con più precisione l’importanza e la funzione dei vari elementi.

Migliora l’esperienza utente (e quindi la SEO indiretta)

Una struttura semantica non è utile solo per Google. Migliora concretamente l’esperienza degli utenti. Immagina un utente che usa uno screen reader: l’HTML semantico gli permette di andare direttamente al menu, al contenuto principale, ai titoli delle sezioni. Ma anche per chi legge da mobile o ha tempi limitati, una pagina ben organizzata è più facile da esplorare.

E quando un sito è più facile da navigare, gli utenti restano più a lungo, interagiscono di più, tornano più spesso. Google vede tutto questo e lo interpreta come un segnale di qualità, dando una spinta in più nel posizionamento.

Dà struttura ai contenuti e rende la pagina più leggibile

Un buon contenuto non è solo quello che dici, ma anche come lo dici nel codice. E qui entra in gioco il binomio HTML semantico e struttura delle heading (H1, H2, H3…). Un contenuto organizzato correttamente racconta una storia coerente sia agli utenti che a Google.

Pensalo come una sceneggiatura per il tuo sito: il titolo principale (H1) dà il tema, i sottotitoli (H2, H3) guidano nella lettura, i paragrafi approfondiscono. Se a questa gerarchia unisci una struttura semantica chiara, hai fatto un enorme passo avanti per rendere il tuo sito accessibile e ottimizzato. 

Accessibilità siti web e SEO: come le WCAG migliorano entrambi

Le WCAG (Web Content Accessibility Guidelines) rappresentano un insieme di indicazioni internazionali pensate per rendere i contenuti web accessibili al maggior numero possibile di persone, comprese quelle con disabilità. Le linee guida si articolano in quattro principi cardine: i contenuti devono essere percepibili, utilizzabili, comprensibili e robusti.

Significa progettare siti che siano davvero navigabili da chi usa uno screen reader, da chi ha difficoltà motorie, da chi ha un deficit visivo o cognitivo. Ma significa anche creare pagine più semplici e immediate per chiunque. Le WCAG non sono solo un riferimento per chi lavora nel mondo dell’accessibilità: sono una base solida per costruire esperienze digitali migliori.

I 4 principi WCAG: cosa significano e perché contano

Quando si parla di accessibilità, non servono per forza competenze da sviluppatore per iniziare a comprenderle: alla base ci sono quattro principi semplici, concreti, che definiscono cosa rende un contenuto accessibile.

Questo modello è conosciuto con l’acronimo POUR, dalle iniziali inglesi:

  • Perceivable (Percepibile)
    I contenuti devono poter essere percepiti da chiunque, anche da chi ha limiti sensoriali. Significa, ad esempio, usare testi alternativi per le immagini, sottotitoli nei video, e garantire un contrasto sufficiente tra testo e sfondo. Se un’informazione esiste solo in forma visiva o sonora, molte persone la perderanno.
  • Operable (Utilizzabile)
    Tutti gli elementi dell’interfaccia devono essere utilizzabili anche senza mouse o touchscreen. Chi naviga da tastiera, o con dispositivi assistivi, deve poter compiere le stesse azioni degli altri: aprire un menu, inviare un form, chiudere un pop-up. Non è un dettaglio tecnico, è usabilità vera.
  • Understandable (Comprensibile)
    I contenuti devono essere chiari, prevedibili, coerenti. Linguaggio semplice, etichette esplicite, microcopy ben scritti: tutto ciò che riduce l’ambiguità migliora l’esperienza per tutti, non solo per chi ha disabilità cognitive. Se un sito è confuso, smettiamo di usarlo. Punto.
  • Robust (Robusto)
    Un sito accessibile deve funzionare bene su browser, dispositivi e tecnologie assistive diversi. Deve essere “robusto” nel tempo: leggibile oggi da uno screen reader, ma anche domani dopo un aggiornamento. E questo significa scrivere codice pulito, rispettare gli standard e testare il sito come si deve.

Questi principi non sono solo una guida per chi si occupa di accessibilità: sono una lente attraverso cui migliorare l’esperienza digitale nel suo insieme. E se un sito è percepibile, utilizzabile, comprensibile e robusto… è anche più facile da trovare, da usare e da posizionare.

Accessibilità e indicizzazione: come Google interpreta un sito chiaro

Come abbiamo già detto prima, un sito accessibile è anche più leggibile per Google. E no, non si tratta di “trucchi” tecnici: si tratta di struttura, coerenza, chiarezza.

Quando una pagina è progettata secondo criteri di accessibilità – quindi ben organizzata, con contenuti gerarchici, microcopy chiari e codice semantico – anche i crawler dei motori di ricerca la comprendono meglio. Capiscono qual è il contenuto principale, distinguono più facilmente heading, link e sezioni, interpretano con più precisione le intenzioni delle CTA.

Ma c’è di più. L’accessibilità impatta direttamente sull’esperienza dell’utente, e di conseguenza su tutti quei segnali che Google osserva attentamente:

  • tempo di permanenza,
  • frequenza di rimbalzo (bounce rate),
  • profondità di navigazione.

Se un utente si orienta con facilità, trova ciò che cerca, capisce subito cosa può fare e interagisce senza ostacoli… resta. E magari converte. Ed è questo che Google premia: non il sito “perfetto sul piano teorico”, ma quello utile, chiaro e usabile nella pratica.

Per questo motivo, ottimizzare l’accessibilità significa rafforzare anche la SEO. Non direttamente con un boost di ranking, ma indirettamente, attraverso un’esperienza digitale più solida, coerente e comprensibile da tutti – Google incluso.

Strumenti SEO che valutano anche l’accessibilità

Quando analizziamo un sito in ottica SEO, spesso ci concentriamo su velocità, struttura, contenuti, link. Ma sempre più strumenti di auditing includono anche indicatori legati all’accessibilità. E non è un caso: usabilità e performance sono due facce della stessa medaglia.

Un esempio concreto è Google Lighthouse, il tool integrato in Chrome DevTools: nella sua analisi complessiva attribuisce un punteggio specifico all’accessibilità, valutando elementi come:

  • la presenza di alternative testuali per le immagini,
  • la corretta gerarchia dei titoli,
  • la navigabilità da tastiera,
  • il contrasto tra testo e sfondo,
  • l’etichettatura chiara di link e pulsanti.

Se il tuo sito ottiene un punteggio basso in questa sezione, è probabile che stia offrendo un’esperienza debole anche dal punto di vista SEO. Non perché Lighthouse “influenzi” il ranking, ma perché mette in evidenza problemi che Google e gli utenti reali potrebbero incontrare.

Anche altri strumenti, come Web.dev, axe DevTools, WAVE o Sitebulb, offrono funzionalità di analisi accessibilità integrata. E persino piattaforme SEO più tradizionali (come SEOZoom o Semrush) iniziano a dare segnali in questa direzione.

Insomma: l’accessibilità non è più una questione a parte, ma parte integrante della qualità tecnica di un sito. Ignorarla oggi significa avere una visione parziale della SEO.

Aria-label e accessibilità: cosa risolve (e quando non basta)

Uno degli strumenti più semplici ed efficaci per rendere un sito più accessibile – anche se spesso sottovalutato – è proprio l’attributo aria-label. Non serve essere sviluppatori per capirne il valore: basta conoscere il contesto in cui funziona, e usarlo con criterio. Vediamo perché può fare la differenza.

Aria-label: un attributo piccolo, un impatto enorme

L’aria-label è uno di quegli strumenti che, pur essendo invisibili alla vista, fanno una differenza enorme per chi naviga con tecnologie assistive. Si tratta di un attributo HTML che permette di fornire una descrizione testuale a elementi dell’interfaccia che non contengono testo leggibile, come icone o pulsanti con soli simboli.

Perché è così importante? Perché senza una descrizione, molti pulsanti rischiano di diventare elementi muti. Con un aria-label, invece, acquistano un significato anche per chi ha difficoltà visive. E questa chiarezza, che nasce per l’accessibilità, è un plus anche per l’ottimizzazione complessiva dell’esperienza utente.

Ad esempio, la lente di ingrandimento, la “X” di chiusura o l’icona di un social non sono leggibili dagli screen reader senza un aria-label che li renda comprensibili e utili.

Questi dettagli fanno la differenza tra un’interfaccia “decorativa” e una realmente comunicativa. E quando parliamo di usabilità e conversioni, questi dettagli ricoprono un ruolo fondamentale.

Quando usarlo (e quando no)

Come ogni strumento potente, l’aria-label va usato con consapevolezza. È perfetto per descrivere elementi che non hanno un testo visibile, come icone isolate o componenti stilizzati.

Ma se un bottone ha già un testo visibile – come “Invia”, “Leggi tutto” o “Acquista ora” – non aggiungere un aria-label con lo stesso contenuto. Per un lettore vocale, il risultato sarà duplicato: “Invia. Pulsante. Invia.”

Stesso discorso per i link che hanno un testo esplicito. Se un’icona social è affiancata da un testo che dice “Seguici su Instagram”, non serve aggiungere altro. Il testo è chiaro, leggibile da tutti, anche da chi usa tecnologie assistive.

Infine, occhio agli automatismi: a volte capita che in fase di sviluppo vengano aggiunti aria-label ovunque, “per sicurezza”. Ma l’accessibilità non si ottiene mettendo attributi a caso. Si ottiene con scelte ragionate, fatte con empatia e buon senso.

 La regola è semplice: se un elemento è già chiaro a tutti, anche a chi non vede lo schermo, non c’è bisogno di spiegarglielo due volte.

Errori comuni che ostacolano l’accessibilità

Spesso pensiamo che l’accessibilità sia fatta solo di aggiunte: alt text, aria-label, descrizioni. Ma in realtà, i problemi più grossi nascono da ciò che manca o da quello che è presente, ma ambiguo. Ecco alcuni degli errori più frequenti che ancora oggi ostacolano la navigazione di tantissime persone:

  • Testi a basso contrasto
    Grigio chiaro su sfondo bianco, scritte sottili su immagini: scenografiche, certo. Ma spesso illeggibili per chi ha difficoltà visive, e fastidiose per tutti.
  • Immagini senza alternative testuali (alt)
    Se un’immagine comunica qualcosa, va descritto anche nel codice. Senza alt, uno screen reader non può raccontarla. E Google nemmeno, soprattutto se l’immagine non è ottimizzata nel modo giusto.
  • Pulsanti e icone senza etichette chiare
    Un’icona da sola – la classica “X” o lente – non dice nulla a chi non può vederla. Senza aria-label o un testo visibile, è un punto cieco.
  • Gerarchia dei titoli sbagliata
    Usare un H4 prima di un H2 o saltare da H1 a H5 confonde sia l’utente che i crawler. La struttura dei contenuti è semantica, non solo estetica.
  • Link generici tipo “Clicca qui”
    Se non c’è contesto, un lettore vocale leggerà solo “Clicca qui” senza sapere cosa succede cliccando. Anche l’utente vedente si troverà spaesato, meglio usare CTA che esplicitano l’azione o anticipano il contenuto, invece di affidarsi a formule generiche.
  • Navigazione impossibile da tastiera
    Se non si può muovere il focus con il tab o attivare un pulsante con Invio, chi non usa il mouse è tagliato fuori. Ed è un problema serio.

Questi non sono dettagli da dev: sono ostacoli reali, quotidiani, che impattano sull’esperienza e sulle performance. Evitarli significa rendere il sito più leggibile, più comprensibile e più efficace per tutti, inclusi i motori di ricerca.

Chi si occupa di SEO può contribuire all’accessibilità

Pensare alla SEO come a un semplice gioco di parole chiave è riduttivo. Il lavoro del SEO oggi è molto più ampio, strategico, e orientato alla qualità dell’esperienza. Ottimizzare un sito significa aiutare le persone a comprendere e utilizzare i contenuti in modo semplice, fluido e accessibile, anche se non tutte navigano allo stesso modo.

E questo riguarda ogni livello del progetto: dalla struttura delle pagine alla chiarezza delle interfacce, passando per l’etichettatura dei link.
Anche se non scrive i testi, chi si occupa di SEO ha il dovere di farsi domande sui microcopy, sulle CTA e su tutto ciò che guida la lettura, come già dicevamo prima.

Segnalare ambiguità, proporre soluzioni più esplicite, coordinarsi con chi scrive o disegna l’interfaccia: è anche questo contribuire all’accessibilità. Non con il codice, ma con la visione. Un lavoro di squadra tra SEO, UX, content e dev che deve iniziare a monte, non a progetto finito.

Un sito accessibile comunica attenzione. Costruisce fiducia. Rafforza la reputazione del brand. E spesso porta risultati migliori: più tempo sulla pagina, più conversioni, più valore percepito.

L’accessibilità non è una check-list. È una scelta strategica, una forma di qualità.
E chi investe in qualità, oggi, costruisce un sito migliore – per gli utenti, per Google, per il business.

Se vuoi approfondire il tema dell’accessibilità, allora non puoi perderti il talk che abbiamo realizzato sul tema, con un grandissimo ospite: Federico Onoscuri. Lo trovi qui sotto!