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Lavorare male Vs Paradigma UVAC

Lavorare male Vs Paradigma UVAC: ecco perché c’è chi fallisce e chi no

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Qual è la differenza tra fallire e avere successo? La risposta appare semplice e scontata, ma se lo fosse non vedresti saracinesche abbassate, enormi tagli al personale o licenziamenti di massa, cambi di fornitori e imprecazioni che volano. 

Se fosse davvero semplice e scontata, le aziende sarebbero tutte floride, con crescite esponenziali, i numeri tutti verdi su Analytics, il ROAS che sboccia e magari anche la sabbia in ufficio solo per godere della sensazione balneare in sede.

Per arrivarci però partiamo da cinque frasi che tantissime persone hanno sentito e che forse qualcuno ha avuto anche il coraggio di pronunciare.

Cinque frasi che mi fanno venire voglia di chiudere le call di lavoro:

1. “Non abbiamo competitor”: quando sento questa frase non solo ho voglia di cliccare su “No, Maria, io esco”, ma vorrei letteralmente andare al bar e farmi dieci camparini di fila per dimenticare quello che ho appena ascoltato. Bisogna scendere a patti con la vita: a meno che non inventi e metti in commercio il teletrasporto, hai di certo almeno un competitor. Ce l’hanno anche i cugini, fai te.

2. “Siamo leader di settore”: nei primi anni ’90 aveva un suo perché. Era accattivante. Ora è come vedere la parola “Resilienza” tatuata sul braccio di una persona. Ti viene da ridere, insomma.

3. “Voglio vendere, ma non ho budget”: che è un po’ come cucinare la pasta con le melanzane senza le melanzane. Sono certo che si possa fare, da qualche parte, nel multiverso.

4. “Bello il ROAS a 10, ma vedo pochi Mi Piace”: ogni volta che un/a marketing manager dice queste parole, un responsabile commerciale esplode e il suo spirito vaga alla ricerca di vendetta sulla Terra.

5. “Per il marketing abbiamo preso un/a stagista”: e così mi immagino questo/a cucciolo/a di Labrador che scorrazza da una parte all’altra dell’ufficio, ogni tanto inciampando, altre volte facendo rotolare la carta igienica.

L’evoluzione (e il successo) passa dal Paradigma UVAC

Ecco, io non vorrei infastidire nessuno in particolare, né denigrare chi ancora oggi pronuncia queste frasi. Il punto è che c’è bisogno di fare un salto nell’evoluzione economica e per compierlo dobbiamo educarci a vicenda. Le agenzie o professionisti/e da una parte, dall’altra le aziende e i/le responsabili di area. 

Un’azienda che cresce poggia su ciò che chiamo il paradigma UVAC.

  • Umiltà: anche se abbiamo ottenuto brillanti risultati per anni e anni, pensare di “essere arrivati” è l’errore più grave che possiamo commettere. Nel preciso istante che crediamo di essere intoccabili o di vivere di rendita, iniziamo a crollare. L’umiltà serve per concederci la possibilità di imparare o di sbagliare ancora. Che ricordiamoci: le uniche persone che non sbagliano mai sono quelle che non fanno nulla e rimangono immobili. Ma sono anche le stesse che rimangono indietro, per essere dimenticate.
  • Visione: non si può mirare a governare il mercato senza avere una chiara e ampia prospettiva. Gli errori tipici sono infatti dare in mano il marketing a una risorsa senza esperienza, fossilizzarsi su idee personali, schiantarsi su KPI non ragionati e via dicendo. La visione deve unire leader, team e fornitori, ma soprattutto “autoalimentarsi”: non esiste crescita senza confronto, non esiste meta che ha solo un unico percorso per arrivarci. Questo significa sapersi mettere in discussione e coinvolgere più cervelli. Di Steve Jobs ne abbiamo avuto uno solo. E neanche lui sarebbe arrivato a tanto senza le persone giuste intorno.
  • Ambizione: è la bussola motivazionale che guida i nostri passi, ma è fondamentale che sia supportata da un piano concreto e non da voli pindarici tutti nostri. Per capirci: desiderare di essere primi su un motore di ricerca senza studiare il mercato, lavorare tanto sui contenuti e su un sito ben realizzato, avere un impianto marketing ben oliato, ecco, è come desiderare di arrivare sulla Luna con una Dacia. Con tutto il rispetto per la Dacia, eh.
  • Controllo: tutto deve poter essere misurato, tutto deve passare da una valutazione. I “secondo me” non sono utili neanche in una discussione in famiglia, figuriamoci dentro una sala riunione. I dati misurano il PH delle performance aziendali, saperli interpretare al meglio è un lavoro incessante che permette di migliorarsi di giorno in giorno. Senza un buon controllo su ciò che facciamo (insieme) non esiste alcuna crescita.

L’evoluzione è alla portata di tutti e tutte.

Bisogna solo fare i conti con chi siamo, cosa vogliamo diventare e il mondo che ci circonda. Alla fine, lavorare solo su uno di questi aspetti porterà solo guai, che si tradurranno in azioni sempre più “sbagliate” e produrranno performance poco efficaci.

E a chi piace fallire?