Capita anche a te di leggere titoli che suonano come un allarme? “La fine del web“, “La SEO è morta“, “Google non porterà più traffico“. Negli ultimi mesi, una narrazione quasi apocalittica si è diffusa online, alimentata da articoli come quello apparso su Wired (e che ho letto questa mattina a colazione), che dipingono l’avvento dell’intelligenza artificiale nella ricerca come una minaccia esistenziale per chiunque viva e lavori sul web.
Che noia.
Lavoro nella comunicazione da circa 20 anni e ho avuto anche l’esempio di mio padre, Art Director dagli anni ‘70 ai 2000, costretto a passare dai “pennarelli” alla suite Adobe. Ed è sempre la stessa storia: abbiamo visto arrivare il progresso e ci siamo spaventati, sia come esseri umani che come professionist*.
Personalmente ho visto morire i blog almeno una decina di volte, per capirci. Eppure vivono e lottano in mezzo a noi. C’è chi vedeva in Facebook una “bolla” già all’inizio, chi l’ha dichiarato in crisi già al tempo del Covid, eppure è ancora il social network con più utenti attivi al mondo (3 miliardi). Potrei andare avanti così per altri dieci esempi. Ah, anche mio padre non è – professionalmente – morto quando è arrivata la rivoluzione “Apple”. Anzi, dopo qualche tempo ha guadagnato anche di più.
Il punto è che come persone siamo forse programmati biologicamente per aver paura del cambiamento. E la paura genera allarme. Se l’allarme non aiuta a cercare di comprendere meglio, si traduce in avversione, che porta inevitabilmente alla chiusura mentale e a prendere abbagli. Proviamo a ragionarci su, è meglio.
L’AI Mode di Google ucciderà la mediocrità
Comprendo benissimo la preoccupazione di chiunque si occupi di comunicazione o che abbia perlomeno una presenza online (più o meno efficace). Hai investito tempo, energia e risorse per costruire la tua “creatura”, la tua azienda. L’idea che un cambiamento tecnologico possa vanificare questi sforzi è a dir poco frustrante. Forse hai già avuto esperienze negative con agenzie poco trasparenti o hai provato a fare da solo, ma ora i costi aumentano e le piattaforme diventano sempre più complesse. La paura di spendere soldi inutilmente e di perdere il controllo è più che legittima.
Ma voglio offrirti una prospettiva diversa, basata non sulla paura, ma sui dati e sulla strategia. Quello che stiamo vivendo non è la fine di qualcosa, ma l’inizio di una nuova, incredibile opportunità per i brand che sono costruiti su basi solide di competenza e valore.
L’arrivo di AI Overviews, e in particolare dell’AI Mode di Google non ci chiede di abbandonare i nostri siti web o di smettere di creare contenuti. Al contrario, ci invita a farlo meglio, con più strategia e più autenticità. Ci chiede di costruire brand più forti, autorevoli e riconoscibili. E ora vorrei farti capire come trasformare questa sfida in un vantaggio competitivo concreto.
La verità dietro la “ricerca Zero-click”: meno click, più valore
Una delle parole che spaventa di più è “zero-click”. L’idea che le persone trovino una risposta direttamente su Google senza visitare il tuo sito può sembrare un incubo per il business. E i dati mostrano che questa tendenza è reale e in crescita: si è passati da circa il 26% di ricerche zero-click nel 2022 a quasi il 60% nel 2024.
Ma “zero-click” significa davvero “zero-valore”? Certo che no.
Il paradigma sta cambiando. L’obiettivo non è più soltanto ottenere un clic, ma essere la fonte autorevole che l’AI cita nella sua risposta. Pensa a questo: essere menzionati in un AI Overview è come ricevere una raccomandazione diretta e imparziale da Google. Cosa che tra l’altro sta portando diversi utenti a “credere di più” a una ricerca su Overview rispetto alla classica. Qui c’è il primo punto di attenzione: anche senza un clic immediato, questa menzione costruisce consapevolezza e fiducia, posizionando il tuo brand come un punto di riferimento nel settore.
E qui arriva il dato che ribalta la prospettiva: i link all’interno di una risposta AI hanno tassi di clic straordinariamente alti. Uno studio di First Page Sage – aggiornato a maggio 2025 – ha rivelato che un link in prima posizione in un AI Overview può raggiungere un CTR del 38.9%, un valore quasi identico a quello di un primo risultato organico tradizionale (39.8%).
Il valore non è sparito, si è semplicemente concentrato. La vera sfida non è la perdita di traffico generico, ma diventare la fonte d’élite che l’AI sceglie di citare. Inoltre, quando il tuo brand viene citato, si innesca un “effetto alone“: il CTR dei tuoi risultati organici e persino degli annunci a pagamento presenti sulla stessa pagina aumenta significativamente. L’AI non sta uccidendo il traffico; lo sta qualificando e indirizzando verso chi dimostra di meritarselo.
Il tuo cliente ha un nuovo percorso (e il tuo vecchio funnel è rotto)
Come decision maker o manager, probabilmente hai familiarità con il classico funnel di marketing: Consapevolezza, Considerazione, Conversione. Per anni, abbiamo lavorato per intercettare i clienti in ogni fase, specialmente in quella centrale, la Considerazione, dove un utente confrontava diverse opzioni (magari visitando più siti).
Oggi questa fase cruciale viene assorbita quasi interamente dall’interfaccia dell’AI, che mangia anche parte della Consapevolezza. L’intelligenza artificiale riassume recensioni, confronta prodotti e risponde a domande complesse in pochi secondi, agendo come un consulente personale istantaneo.
Questo ci porta a una nuova customer journey, più diretta e conversazionale:
- Awareness: il viaggio del cliente inizia molto prima della ricerca. E se una persona non ha mai sentito parlare del tuo brand, è quasi impossibile che un’AI lo raccomandi. La notorietà non è più una metrica di vanità, ma il carburante che alimenta l’intero processo.
- Ask (Domanda): l’utente pone una domanda a un assistente AI (“qual è il miglior software gestionale per PMI?”). L’AI attinge alle sue fonti autorevoli e, se il tuo brand è riconosciuto come tale, lo include tra le opzioni credibili.
- Verify (Verifica): qui avviene la magia per i brand di qualità. Per decisioni importanti (come scegliere un fornitore B2B), l’utente non si fida ciecamente. Esegue un “clic di verifica” ad alta intenzione per validare il suggerimento dell’AI, visitando il sito della fonte citata. Il tuo sito web non è più uno strumento di scoperta, ma di conferma. Chi arriva da te è un lead pre-qualificato, già convinto del tuo valore.
- Act (Azione): la decisione finale arriva più in fretta, perché il grosso del lavoro di ricerca e confronto è stato delegato all’AI.
Cosa ci insegna questo nuovo percorso? Che la battaglia per la visibilità e la conversione si può vincere nella fase di Awareness. Dobbiamo fare in modo che i clienti (e l’AI) conoscano il nostro nome prima ancora di avere un bisogno specifico.
“Awareness is the New SEO”: come costruire un brand che l’AI riconosce (e magari raccomanda)
Se il successo inizia prima ancora che l’utente formuli una domanda, la nostra strategia deve cambiare di conseguenza. Oggi, più che mai, “Awareness is the new SEO“.
Un’intelligenza artificiale non si limita a leggere parole chiave; apprende e riconosce le “entità”: brand, persone e concetti che dimostrano coerenza, fiducia e autorevolezza. Ma come “misura” l’AI questa autorevolezza?
Se per anni la SEO si è concentrata ossessivamente sui backlink, ora i dati indicano un nuovo protagonista. Uno studio di Ahrefs che ha analizzato i fattori di correlazione per la visibilità in AI Overviews ha scoperto che la correlazione più forte non sono i backlink (correlazione debole: 0.218), ma le Branded web mentions (menzioni del brand sul web, anche non linkate) (correlazione forte: 0.664).
L’AI sta imparando a leggere il web come un umano, dando peso a chi viene discusso e citato come esperto, non solo a chi ha più link. Un brand sconosciuto, senza una solida impronta digitale e senza validazioni esterne, è semplicemente invisibile per un’AI.
L’obiettivo strategico diventa quindi costruire un brand così forte da diventare “search-proof”, a prova di ricerca. Questo è il massimo livello di controllo e la difesa più solida contro qualsiasi algoritmo.
Come possiamo costruire insieme un brand che l’AI non solo riconosca, ma raccomandi? Tornando ai fondamentali del marketing, ma con una nuova consapevolezza tecnica.
- Racconta la tua storia, non solo il tuo prodotto: l’AI può generare infinite descrizioni di prodotto, ma non può replicare la tua storia, il tuo “perché”. Un brand con uno scopo chiaro crea una connessione emotiva che lo rende memorabile e autorevole.
- Diventa una media company, non solo un’azienda con un blog: crea contenuti di alto valore che educano e aiutano il tuo pubblico (podcast, ricerche originali, webinar, post, ecc). Questi contenuti non servono solo ad attirare traffico, ma diventano la materia prima con cui l’AI “studia” e impara a riconoscerti come un esperto del settore.
- Sii ossessivamente coerente: un’identità visiva e un tono di voce coerenti su tutti i canali (dal sito a LinkedIn, dalla pubblicità al packaging) creano i segnali di fiducia e riconoscibilità che sia gli umani che gli algoritmi usano per identificare un brand affidabile.
Un periodo di generazione di mostri… o forse no
Ho chiesto un parere ad Alessandra Maggio, AI&Digital Marketing Strategist, che definisce questo “il periodo di generazione dei mostri”. Nel suo commento, Maggio attacca tre fronti: “1. Fuffa-guru che vendono liste di prompt; 2. Annunci di morte di qualsiasi cosa che sia digital marketing; 3. AI adoption intesa come ‘compriamo una licenza e poi vediamo‘”.
Parlando del cambiamento del traffico, Maggio offre una prospettiva molto interessante: “Sicuramente [il traffico] sta avendo e avrà un cambiamento parecchio importante e questo non possiamo nasconderlo. Però, allo stesso tempo, sono anche convinta che l’avvento dell’AI stia scoperchiando dei vasi di Ppandora che potrebbero riportarci, in una dimensione ottimistica e utopistica, a un web più pulito, meno spammoso e dai contenuti di altissima qualità. L’AI generativa non potrà mai essere considerata affidabile al cento per cento, proprio per la sua natura. Ma oggi nemmeno le SERP lo sono, obiettivamente sono quasi tutte costruite per generare posizionamento e traffico, non certo per arricchire e informare gli utenti.
Moltissime delle ricerche che facciamo navigando le prime pagine spesso producono solo frustrazione. Allora se l’AI non può essere considerata affidabile, auspico che finalmente si torni a scrivere davvero per gli umani, in modo da attirare ricerche e traffico proprio per la qualità e la veridicità di quello che viene pubblicato.
Stessa sorte per tutto il discorso SEO: chi ha sempre lavorato bene, puntando certo agli economics di un progetto, ma anche alla reputazione e alla costruzione di segnali per il brand non sarà così toccato da questa rivoluzione, perché le intelligenze artificiali registrano proprio i segnali che lasciamo in rete.
Ultima considerazione: la stampa sta cavalcando il marketing delle piattaforme di AI e lo sta facendo promettendo qualcosa che l’AI non è ancora in grado di garantire e lo sta facendo minando di fatto un mercato. Non può scomparire, chiudo così, ciò che è qualitativo. Se questo accadesse non riusciremmo nemmeno più ad alimentare le intelligenze artificiali generative, quindi produrremmo grossi cumuli di spazzatura e questo renderebbe, di fatto, l’AI inutilizzabile, rischiando un secondo autunno di questa innovazione. Ma com’è possibile che di fronte a qualcosa che definiamo come “generativa” parliamo sempre di morte e catastrofe? Mi sembra anche un contro-senso linguistico”.
Le fondamenta tecniche dell’autorità: E-E-A-T e dati strutturati spiegati semplici
Costruire un brand forte non è solo una questione di marketing “soft”. Per essere visibile a un’AI, la tua autorità deve essere tradotta in segnali tecnici/qualitativi, leggibili dalle macchine. Qui è dove un partner tecnico fidato fa la differenza, ma è fondamentale che tu, come decision maker, ne capisca i principi.
E-E-A-T: le regole del gioco per la fiducia di Google
Questo acronimo è il framework che Google usa per valutare la qualità e l’affidabilità dei contenuti. Non è un fattore di ranking diretto, ma è la filosofia che guida i suoi algoritmi. Per te, significa dimostrare concretamente:
- Experience (Esperienza): mostra che hai “sporcato le mani”. Condividi casi studio reali, racconta le sfide superate, fai parlare chi usa davvero i tuoi prodotti. Questo è qualcosa che un’AI non può inventare.
- Expertise (Competenza): dimostra che sei il migliore nel tuo campo. Pubblica contenuti approfonditi, cita fonti attendibili e, soprattutto, metti in evidenza le credenziali dei tuoi esperti (pagine autore, biografie, profili LinkedIn).
- Authoritativeness (Autorevolezza): fai in modo che siano gli altri a dire che sei il migliore. Menzioni su testate di settore, link da siti rispettati, recensioni positive: questi sono i segnali più forti per l’AI.
- Trustworthiness (Affidabilità): Sii trasparente e affidabile. Informazioni di contatto chiare, politiche aziendali accessibili e un sito web sicuro sono la base su cui si costruisce tutto il resto.
Riguardo al concetto di E-E-A-T, e in particolare sulla necessità di “mostrare di essersi sporcati le mani”, Alessandro D’Andrea, SEO Manager di Facile.it , mi ha offerto un’intuizione strategica fondamentale che va oltre il marketing: “Leggendolo, ho avuto un momento di illuminazione. Prima di mostrare esternamente, è spesso necessario raccogliere ed organizzare quello che si sa“.
“Molte aziende possiedono un patrimonio enorme di competenze, esperienze e conoscenze interne che però non sono mai state formalizzate, organizzate o rese accessibili. Restano nella testa delle persone, nei file sparsi, nelle email, nelle riunioni non documentate. L’AI e la necessità di dimostrare esperienza e autorevolezza obbligano a una riflessione strategica.
Quali informazioni abbiamo internamente? Quali processi padroneggiamo davvero? Quali casi di successo non abbiamo mai raccontato? Chi ha queste informazioni? Chi ci sa dare una lettura esperta e in sintonia con ciò che siamo e che vogliamo comunicare? (Spoiler: non è assolutamente detto che sia dentro il marketing).
Questo processo di mappatura e strutturazione del know-how non serve solo per comunicare meglio all’esterno, ma trasforma radicalmente anche l’efficienza interna.
L’AI è un catalizzatore. Accelera, ma occorre assicurarsi di accelerare verso la chiarezza e la coerenza, non verso il caos causato da un mare magnum di informazioni imprecise e confuse generate perché non si ha struttura o chiarezza.
Un modello che non si “limita”, preso tra mille virgolette, a rankare informazioni ma che attivamente ragiona su ciò che gli forniamo in pasto beneficia di chiarezza espositiva e di argomento quanto un buon pezzo di copy o una rete vendita che desideri essere performante”.
Dati strutturati: l’etichetta digitale per la tua autorità
Come si comunica questa “competenza mappata” alle macchine in modo inequivocabile?
Se l’E-E-A-T è cosa comunichi, i dati strutturati (Schema.org) sono come lo comunichi in un linguaggio che le macchine possano comprendere senza ambiguità. Pensa ai dati strutturati come a delle “etichette” che aggiungi al codice del tuo sito per spiegare a Google ogni dettaglio: “Questa è la mia azienda, questo è il mio logo, questo è l’autore dell’articolo e queste sono le sue credenziali”.
Questo lavoro tecnico, spesso trascurato, è ciò che permette all’AI di leggere e interpretare la tua autorevolezza in modo chiaro e inequivocabile, aumentando drasticamente le probabilità di essere citato.
Quindi, l’AI Mode è la fine del web?
Assolutamente no. È la fine della mediocrità.
È la fine dei contenuti generici, scritti solo per i motori di ricerca e senza un reale valore per le persone. L’era della ricerca AI non è una minaccia, ma un filtro che premia la qualità, l’autenticità e la vera competenza. È un’opportunità straordinaria per le aziende che hanno costruito qualcosa di solido e che hanno una storia vera da raccontare.
Questo cambiamento ci chiede di:
- Investire nel brand come nostro asset più prezioso e difendibile.
- Creare contenuti di altissimo valore, basati su esperienze e competenze reali che solo noi possediamo.
- Costruire autorevolezza in modo sistematico, dentro e fuori dal nostro sito web.
- Usare la tecnologia (come i dati strutturati) per comunicare il nostro valore in modo efficace e non lasciare spazio a interpretazioni.
A questo punto, potresti pensare: “Ok, ho capito. Ma quindi solo chi ha grandi budget può permettersi di sopravvivere!“. È uno scrupolo più che legittimo.
Sarebbe disonesto dire che un grande budget non aiuti. Certo che aiuta. Ma la vera rivoluzione non è che vince chi spende di più, ma chi spende meglio. La “fine della mediocrità” non significa che le piccole e medie imprese sono destinate a scomparire. Al contrario. Significa che non c’è più spazio per le scorciatoie, per i contenuti “tanto per fare”, per le campagne senza una strategia chiara.
Come cambia la SEO con l’intelligenza artificiale?
Questo ci porta alla conclusione strategica fondamentale. Per anni, la SEO è stata quasi un gioco reattivo: “Google dice/fa qualcosa, e poi alla data limite si corre ai ripari (vedi https, mobile first, accessibilità etc)”. Come sottolinea Elisa Contessotto, Responsabile della Formazione di SEOZoom, a cui ho chiesto una riflessione conclusiva, quel tempo è finito.
“È il momento per essere migliori“, mi scrive Contessotto. “Per anticipare, e non più solo per seguire i trend. Per essere scelti come fonte [dall’AI] dobbiamo fare qualcosa in più. Per essere primi ora dobbiamo più che mai essere anticipatori, avere un passo avanti, fare uno sforzo in più“.
Questo cambiamento costringe tutti, grandi e piccoli, a fare quello che dovremmo fare da sempre: metterci la testa, ottimizzare ogni risorsa e concentrarsi su ciò che porta un valore reale. L’autorità non si compra, si costruisce con la competenza e la coerenza. E spesso, le aziende più piccole e agili sono molto più brave a mostrare la loro vera esperienza e a creare connessioni umane autentiche, segnali che l’AI sta imparando a riconoscere e premiare.
Quindi, non è una questione di quanto budget hai, ma di come lo investi. Si tratta di tagliare le spese inutili in attività a basso impatto e reinvestire in ciò che costruisce un valore duraturo: la tua competenza, la tua storia, la tua autorevolezza.
È un’opportunità per essere più strategici, più focalizzati e, in definitiva, più efficaci.
Concludo proprio con le parole di Stefano Vanetti, Head of SEO di Clickable: “Ogni volta che Google cambia pelle, si torna a dire che la SEO è morta, ma la verità è che l’AI Mode non segna la fine della SEO: la sta riportando alle sue origini.
Non sarà più una questione di click, ma di esposizione. Torniamo a misurare il valore anche in termini di visibilità, di impression, un po’ come accade con le campagne televisive: contare quante persone ti vedono e ricordano il tuo brand sarà nuovamente centrale.
In questo scenario, la SEO diventa davvero ‘everywhere’: non vive più solo sulle SERP, ma in ogni punto di contatto digitale, nei contenuti, nei social, nei video, nelle menzioni, nei podcast, perché è l’insieme di tutti questi segnali a costruire l’autorevolezza che l’AI riconosce.
Il brand torna al centro: chi lavora per renderlo riconoscibile, coerente e citato in più contesti sarà quello che l’intelligenza artificiale premierà.
E alla fine, è giusto ricordare che non facciamo SEO per portare traffico, ma per far crescere i business. L’obiettivo non è generare visite, ma valore reale, e l’AI, se usata con strategia, ci spinge proprio in questa direzione”.
Se questi temi ti risuonano e vuoi capire come applicarli concretamente alla tua azienda, senza fumo e con trasparenza, parliamone. Troviamo insieme il modo di trasformare questa evoluzione in una straordinaria opportunità di crescita.
