Sì, si parla ancora di marketing strategico. E no, non è un vezzo nostalgico. In un’epoca in cui tutto corre – nuovi tool, nuove AI, nuove piattaforme – la parte più solida di un progetto resta quella che, puntualmente, viene saltata: la strategia.
Vediamo realtà che investono tempo e risorse in campagne, redesign, post social, ma che non hanno mai definito con chiarezza a chi si stanno rivolgendo, con quale posizionamento e con quali obiettivi. Senza una direzione, ogni nuova tecnologia (o processo) rischia di diventare l’ennesimo giocattolo costoso o uno spreco di risorse (più che una soluzione).
Marketing strategico Vs marketing operativo
Spesso si tende a confondere il marketing strategico con il marketing operativo. Eppure, la differenza è sostanziale e incide profondamente sulla qualità e sull’efficacia di ogni progetto.
Il marketing strategico riguarda l’identità di un brand, ne studia il posizionamento, analizza il contesto competitivo e individua le opportunità più coerenti con la visione aziendale. È il livello alto del pensiero di marketing, quello che getta le fondamenta su cui poi si costruisce tutto il resto. È la visione di lungo periodo, quella che tiene in piedi tutto il resto.
Il marketing operativo, invece, risponde a domande diverse: “Ok, e adesso cosa facciamo?”, “quali strumenti e canali utilizziamo?”, “in che tempi e con quali risorse?”. È il livello esecutivo, quello che produce risultati concreti. Ma – e qui sta il punto – senza una strategia sopra, ogni azione è un colpo sparato a caso: belle campagne che non parlano al target giusto, contenuti fuori fuoco, metriche rincorse a caso.
Prendiamo ad esempio una campagna Google Ads: anche se ben strutturata tecnicamente, non genererà valore se il messaggio non è coerente con l’identità del brand o se si rivolge a un pubblico che non è in linea con gli obiettivi commerciali. La strategia è ciò che garantisce continuità e coerenza. E quando manca, è facile trovarsi a rincorrere KPI di breve termine che non costruiscono nulla nel tempo. È proprio in questa disconnessione tra azione e visione che molte aziende si arenano, finendo per investire risorse significative senza ottenere ritorni sostenibili.
Le fasi classiche del marketing strategico
Quando si parla di strategia, spesso si pensa a qualcosa di astratto o teorico. No, la strategia non è teoria. È un processo strutturato, che funziona da decenni. E che, sorprendentemente, funziona ancora oggi.
Analisi del contesto e del mercato
Si parte sempre dall’analisi: osservare il mercato, ascoltare i clienti, mappare la concorrenza. Un’analisi fatta bene non si limita a raccogliere dati, ma cerca connessioni, individua pattern, capisce cosa sta davvero succedendo nel contesto competitivo. Questa fase iniziale è fondamentale per capire da dove si parte e quali leve attivare per differenziarsi.
Definizione degli obiettivi
Dopo l’analisi, viene la definizione degli obiettivi. Gli obiettivi devono essere concreti, misurabili, raggiungibili. Ma soprattutto: devono essere rilevanti. Troppo spesso si lavora per aumentare il traffico al sito o per generare lead, senza chiedersi se quelle metriche corrispondono a reali opportunità di business. Un obiettivo strategico è qualcosa che cambia davvero lo stato delle cose: migliorare la percezione del brand, entrare in nuovi mercati, fidelizzare una base clienti di valore.
Pianificazione delle attività
La pianificazione delle attività è il momento in cui la strategia prende forma. Non basta fare un calendario editoriale o lanciare una campagna. Pianificare significa creare coerenza tra le operazioni, fare in modo che contenuto sia parte di un percorso, non un caso isolato. La strategia è un filo rosso che tiene insieme ogni attività, ogni team, ogni interazione.
Monitoraggio e controllo
Infine, il monitoraggio. Perché ogni strategia, anche la più brillante, ha bisogno di essere verificata, adattata, migliorata nel tempo. Misurare non significa solo fare report, ma trarre insight. Capire cosa sta funzionando, cosa no, e perché. E soprattutto: avere il coraggio di cambiare direzione quando serve.
Cosa è cambiato (e perché la strategia oggi è indispensabile)
Negli ultimi anni, la pressione a fare tutto subito ha travolto la capacità di fermarsi a pensare. L’arrivo dell’AI e l’overdose di strumenti non aiutano: si tende a confondere l’accelerazione con il progresso. Ma la tecnologia, se usata senza direzione, genera solo output inutili. Anche i contenuti migliori diventano generici se manca una strategia. Le campagne non funzionano. I tool non risolvono. La differenza la fa la testa, non la mano.
Analizziamo alcuni dei cambiamenti più significativi che hanno messo alla prova la capacità delle aziende di pensare prima di agire.
L’arrivo dell’intelligenza artificiale
L’arrivo dell’intelligenza artificiale nelle aziende ha rivoluzionato tutte le dinamiche operative. Ha reso possibile fare in pochi minuti analisi che prima richiedevano settimane. Tuttavia, ha anche generato una nuova illusione: che la tecnologia potesse sostituire il pensiero strategico. Ma non è così: senza un’idea chiara di dove si vuole andare, anche l’AI più sofisticata rischia di produrre output superficiali e non allineati agli obiettivi aziendali.
Qui entra in gioco lo strategic thinking: l’evoluzione naturale del design thinking. Un mix di empatia, analisi e capacità di scelta che orienta ogni decisione, integrando AI e dati in modo intelligente. Ma ne parlerò meglio più tardi… intanto grazie per essere ancora qui con me.
Overload di strumenti
Allo stesso tempo, l’overload di strumenti ha creato un paradosso. Mai come oggi abbiamo avuto così tante soluzioni a portata di mano. Eppure, questo non significa avere una migliore strategia assicurata. Anzi, spesso è il contrario: l’abbondanza genera confusione, e rende più difficile capire cosa serve davvero.
La verità è che nessun tool può sostituire una visione strategica. Quando manca una direzione, anche lo strumento più avanzato può risultare inefficace. È importante imparare a scegliere solo gli strumenti necessari. Perché semplificare non significa fare meno, ma fare le cose con più consapevolezza.
Esecuzione non guidata dai dati
Proprio a causa dell’arrivo dell’AI e del gran numero di strumenti a disposizione, oggi è più facile farsi prendere la mano e saltare la strategia, passando direttamente all’esecuzione. Si lanciano campagne senza aver stabilito gli obiettivi, si creano contenuti senza un piano editoriale, si investe nell’advertising senza segmentare chiaramente il pubblico. In questo scenario, il marketing si riduce in un insieme di task da spuntare, perdendo la sua componente chiave.
Perché il pensiero strategico conta più di prima
Proprio per questo, oggi il pensiero strategico è più importante che mai. La tecnologia, per quanto avanzata, non è sufficiente a guidare le decisioni se non è orientata da una visione consapevole. L’intelligenza artificiale può offrire strumenti incredibilmente potenti, ma senza una guida chiara rischia di produrre risultati mediocri, disallineati dagli obiettivi dell’azienda e dalle reali esigenze del tuo pubblico.
Quando manca una direzione precisa, anche i contenuti meglio confezionati risultano generici, le campagne non centrano il bersaglio e gli sforzi si disperdono. Il valore nasce dalla capacità di connettere i punti prima di agire, di costruire un impianto logico e coerente che orienti le scelte operative. L’AI, in questo contesto, non sostituisce il pensiero umano: lo estende, lo rafforza, lo rende più efficace. Ma funziona solo quando è integrata in un progetto pensato a monte, quando è al servizio di una strategia consapevole e ben definita.
Questo è il principio alla base del design thinking: un approccio iterativo che ha rivoluzionato il modo di progettare soluzioni partendo basato su empatia, definizione, ideazione, prototipazione e test. Oggi, però, serve un passo in più. Lo strategic thinking ne rappresenta l’evoluzione naturale: unisce sensibilità umana e capacità analitica, integrando dati quantitativi e AI per orientare le scelte in modo misurabile e consapevole.
Se vuoi approfondire il ruolo dell’AI nel marketing strategico, allora non puoi perderti il nostro talk con due ospiti eccezionali: Federica Brancale e Alessandra Maggio.
Pensiero strategico applicato: le buyer personas
Un esempio concreto è il lavoro sulle buyer personas, che in Clickable affrontiamo con un metodo strutturato ma flessibile, capace di adattarsi al contesto, al progetto e al cliente. Non partiamo da archetipi astratti o da output generati da tool automatici: per noi, costruire buyer personas significa immergersi nella realtà del brand e restituirne un ritratto autentico.
Tutto deve partire da una raccolta metodica delle informazioni: si analizzano trascrizioni di chiamate, si conducono interviste esplorative e si osservano i comportamenti degli utenti tramite strumenti di analytics. È incrociando i dati ottenuti che emergono pattern, leve motivazionali, obiezioni ricorrenti e differenze tra i segmenti. Non si tratta solo di capire “chi” sono le persone, ma soprattutto “perché” agiscono, scelgono, esitano.
Una volta elaborato questo corpus di insight, si passa alla sintesi: si costruiscono rappresentazioni coerenti, che non siano caricature ma ritratti realistici e dinamici del pubblico a cui ci si vuole rivolgere. Questi profili includono motivazioni, esigenze, comportamenti, aspettative, contesto decisionale e persino il tono di voce a cui rispondono meglio. L’obiettivo è ottenere uno strumento operativo, che guidi la creazione di contenuti rilevanti, la progettazione di funnel realmente percorribili e la pianificazione di campagne capaci di generare un impatto.
Ogni progetto ha le sue peculiarità: per questo il nostro processo non è mai replicato in modo identico. L’elemento strategico guida ogni scelta: cosa osservare, come raccogliere i dati, quali team coinvolgere. Questa elasticità ci permette di evitare documenti tutti uguali e di costruire profili realmente utili, che diventano strumenti operativi e non semplici schede descrittive.
Come si costruisce una strategia di marketing solida
Costruire una strategia solida significa, prima di tutto, mettere ordine: capire dove siamo, dove vogliamo andare e con quali risorse ci muoveremo. Questo approccio parte dall’analisi dei processi interni e si estende alla costruzione di una cultura aziendale condivisa, dove la conoscenza diventa patrimonio collettivo e le scelte non sono mai scollegate dalla realtà.
Ecco su cosa si fonda una strategia di marketing che funziona davvero oggi:
- Mappare i processi interni: capire cosa succede davvero dentro l’organizzazione. Strumenti come il service blueprint aiutano a vedere tutto: touchpoint, colli di bottiglia, dipartimenti coinvolti.
- Costruire una knowledge base: raccogliere e condividere ciò che si impara dai progetti. L’esperienza non deve restare nella testa dei singoli.
- Integrare l’AI con criterio: si parte dagli obiettivi, non dai tool. Si valutano i benefici, si misura l’impatto, si migliora il processo. E sì, si è anche pronti a dire: “questa roba non serve”.
- Misurare i risultati: non parlo di vanity metrics, ma di reali obiettivi, che si possono quasi toccare con mano.
Mappare i processi interni
Per costruire una strategia di marketing solida è necessario partire dai processi. Comprendere come funziona l’organizzazione nei suoi flussi, nei suoi punti di contatto con il cliente e nei suoi meccanismi interni è essenziale per costruire qualcosa che duri. Mappare i processi interni significa individuare i passaggi critici, quelli che generano valore e quelli che lo disperdono.
Uno strumento particolarmente utile in questa fase è il service blueprint. Questo approccio permette di visualizzare l’intera esperienza utente e di sovrapporla alle attività back-end, evidenziando dove avvengono le interazioni chiave e quali dipartimenti sono coinvolti. È uno strumento di allineamento, ma anche di scoperta: consente di individuare colli di bottiglia, inefficienze e opportunità per migliorare l’esperienza complessiva.
Costruire una knowledge base
Parallelamente, serve costruire una knowledge base interna: un sistema organizzato per raccogliere, documentare e aggiornare costantemente le informazioni chiave che l’azienda produce. Questa base di conoscenza può includere dati quantitativi, ma anche esperienze qualitative, feedback dei clienti, riflessioni dei team interni, casi studio documentati.
Per noi ogni progetto è un’occasione per espandere questa conoscenza: ciò che ha funzionato, gli ostacoli incontrati, le soluzioni trovate lungo il percorso. Tutto questo viene conservato, analizzato e rimesso in circolo. Questo approccio trasforma l’esperienza in un asset strategico, e rende il team sempre più autonomo, veloce e preciso nel prendere decisioni.
Integrare l’AI in modo strategico
Integrare l’intelligenza artificiale in modo efficace richiede un approccio strutturato, pensato per ottimizzare flussi di lavoro esistenti. Non è sufficiente inserire un tool.
Una volta descritto il processo, si identificano le aree che possono essere supportate dall’AI: si tratta di definire casi d’uso specifici e concreti, come l’automazione della trascrizione di interviste, la scrittura di contenuti ricorrenti, o il supporto al recruiting. Non si parte dal tool, ma dall’obiettivo da raggiungere.
Tra i casi d’uso ipotizzati, è fondamentale stabilire una priorità in base al tempo impiegato o all’impatto economico. Il valore dell’AI non sta solo nella sua potenza, ma nella sua capacità di liberare tempo per attività più strategiche. A questo punto, si scelgono gli strumenti più adatti e si stabiliscono criteri oggettivi per valutare la riuscita dell’integrazione. È qui che entrano i cosiddetti “Jobs to be done”: definire con chiarezza le condizioni per cui l’AI ha svolto correttamente il suo compito.
Misurare i risultati
Infine, si passa alla fase di valutazione e iterazione. È fondamentale misurare costantemente i risultati, confrontando la qualità e il tempo del lavoro svolto da un essere umano da solo, dall’essere umano supportato dall’AI e dall’AI da sola. L’obiettivo è ottenere un incremento misurabile di efficienza mantenendo intatta la qualità dell’output. Questa fase di valutazione, spesso trascurata, è ciò che consente di fare scelte consapevoli e ottenere benefici reali dall’integrazione tecnologica.
La strategia come responsabilità, non come esercizio di stile
Fare strategia non significa prevedere il futuro. Significa decidere con lucidità nel presente, sapendo che ogni scelta è anche una rinuncia. In un’epoca in cui siamo incentivati a “fare tutto, ovunque, subito”, la strategia diventa un atto di responsabilità.
Non è un lusso per chi ha tempo: è una necessità per chi vuole durare. È l’arte silenziosa di dare un senso a ciò che si fa, prima ancora di farlo.
Strategia è dire no a ciò che non serve, anche quando è alla moda. È smettere di rincorrere ogni nuova funzione, ogni piattaforma, ogni trend, solo perché esiste. È avere il coraggio di fermarsi a pensare mentre tutti sono già partiti.
E se sembra poco, non lo è. Perché in un sistema che misura solo la velocità, chi sa dosare direzione e profondità vince sul lungo periodo. Non facendo di più. Facendo meglio.
Non servono più strumenti, ma più consapevolezza. E se proprio vogliamo un vantaggio competitivo, allora che sia questo: avere il coraggio di pensare — davvero — prima di agire.