Quando un brand prende parola, non sta solo informando. Sta raccontando chi è, cosa rappresenta e come vuole relazionarsi con il suo pubblico. In un ecosistema digitale saturo, la forma diventa sostanza: ogni parola – nel copy di un’adv, in un DM, nel titolo di una newsletter – costruisce un pezzo di identità e influenza il modo in cui il brand viene percepito.
Definire la brand voice non è un vezzo da copywriter: è un atto strategico. È ciò che rende un brand riconoscibile, memorabile, umano. È il tratto distintivo che trasforma una comunicazione da impersonale a coinvolgente.
Eppure, nessuno è davvero immune da incoerenze di tono di voce, nemmeno i “grandi brand”. La coerenza nasce anche dai processi: dagli strumenti che il brand decide di darsi, dalle abitudini interne, dalle pratiche condivise che permettono a una voce di rimanere riconoscibile nel tempo. Senza questi elementi, anche la migliore brand voice rischia di incrinarsi.
E quindi, nei prossimi paragrafi non troverai formule magiche (non esistono). Troverai spunti, passaggi chiave, domande giuste da farti e strumenti utili per fare chiarezza e iniziare a costruire una voce di brand più consapevole e solida. A misura della personalità del tuo brand.
Che cos’è la brand voice (e perché dovresti riflettere sulla tua)
È la traduzione verbale di tutto ciò che un brand rappresenta: la sua identità trasformata in parole. Dentro quella voce convivono valori, personalità, missione, visione del mondo e il modo in cui il brand interpreta ciò che lo circonda. Non è quindi il “rivestimento” del messaggio, ma la forma che permette alla sostanza di essere percepita.
È ciò che lo aiuta a creare un terreno comune con chi ascolta: prospect, clienti, stakeholder, community. Un terreno che non va inventato a tavolino perché esiste già: nasce da una visione condivisa, dai principi etici che accomunano il brand e il suo pubblico. Ma va costruito e curato sin dalla prima “stretta di mano”, quando appariamo sul feed di chi non ci conosce ancora.
Pensa alla differenza tra dire “Ti aspettiamo!” e “Siamo pronti ad accoglierti con il sorriso”. Stai dicendo più o meno la stessa cosa, ma il modo in cui lo dici cambia completamente la percezione. Uno è più informale, asciutto e immediato, l’altro è caloroso, umano, rassicurante.
Ecco, la brand voice è fatta di tante micro-scelte: di lessico, punteggiatura e sintassi (che determinano il ritmo dei testi), le espressioni tipiche. Ecco perché va scelta con consapevolezza: non deve solo piacerti: ti deve rappresentare. Perché ogni “ciao”, ogni “grazie per averci scritto”, ogni frase di un tutorial o descrizione prodotto può trasmettere un tono che rafforza (o indebolisce) la percezione del tuo brand.
Brand voice e brand identity
Ma c’è di più. La brand voice non vive da sola: deve dialogare armoniosamente con l’identità visiva. Un linguaggio informale e giocoso, accompagnato da visual austeri e freddi, crea una dissonanza che mina la credibilità. Al contrario, una brand voice coerente con font, palette e stile grafico costruisce una narrazione compatta, riconoscibile, efficace.
Questa coerenza tra parole e immagini è ciò che rende un brand credibile, autentico e memorabile. E nel marketing, dove ogni secondo di attenzione è prezioso, questa coerenza è il tuo miglior alleato.
Tirando le fila quindi, possiamo dire che la brand voice (che fa parte della brand identity) è un ponte emotivo che ci aiuta a creare connessioni vere in un mercato dove i contenuti abbondano ma la qualità delle relazioni scarseggia.
E non è un accessorio da aggiungere alla fine, ma il filo conduttore che tiene insieme ogni touchpoint del tuo brand. È il DNA verbale che ti distingue, ti rende riconoscibile al primo impatto e fa sì che le persone si fermino a leggere il tuo messaggio, mentre scrollano il loro feed. Si ricordino di te. E trovino un motivo per preferire te ad altre alternative, per continuare a sceglierti e fidarsi nel tempo.
Perchè si sa: in una relazione, le buone intenzioni non bastano a mantenere viva una comunicazione, se non c’è una buona comunicazione. Se non si parla la stessa lingua.
Come creare la tua brand voice: guida pratica
Dopo tante belle parole, arriviamo alla pratica. Definire una brand voice efficace non è un atto creativo estemporaneo, ma un processo strutturato che parte dall’interno del brand e si apre all’ascolto del mondo esterno.
Per costruire una voce coerente infatti serve metodo, anche una consapevolezza profonda di chi siamo o chi vorremmo essere, di chi vogliamo raggiungere. Ecco perché una buona brand voice non si improvvisa ma si progetta, si testa, si affina nel tempo.
Ti guiderò passo dopo passo in questo processo, dalle fondamenta (i tuoi valori) fino agli strumenti operativi (le tue linee guida editoriali), passando per l’analisi del pubblico e la definizione di uno stile comunicativo coerente.
Identificare i valori chiave del tuo marchio
Ogni voce credibile nasce da dentro. E quel “dentro” sono i valori fondanti del brand, la ragione per cui esiste e il perché dovrebbe avere un ruolo nella vita delle persone. Prima ancora di chiederti come comunicare, torna alle basi: perché il brand esiste? Qual è la sua proposta di valore? In che modo migliora la vita dei clienti, anche in piccolo?
Sono domande che spesso restano intrappolate in un documento di mission e vision scritto da anni e riaperto solo quando arriva un nuovo fornitore da brieffare. Ma non dovrebbero vivere in una cartella: dovrebbero vivere nell’azienda. Dovrebbero essere condivise, capite e agite da chiunque prenda parola a nome del brand.
Senza paura, chiediti i valori che guidano il brand oggi sono ancora gli stessi? Ci rappresentano davvero? Sono cambiati mentre cambiavano il mercato, le persone, il contesto culturale?
Vale la pena di tornarci su, perché un’azienda è un organismo vivo: cresce, si adatta, evolve. E una voce può essere coerente solo se nasce da un’identità che è stata messa a fuoco, discussa, aggiornata quando serve.
Solo quando questo impianto è chiaro, si può iniziare a trasformarlo in linguaggio. Non in slogan perfetti, ma in parole che suonano vere. Se uno dei tuoi valori è la trasparenza, come si traduce nel modo in cui parli? Quali parole scegli? Quali eviti?
Questo è il fondamento di tutto. Una brand voice è l’estensione naturale del valore che il brand promette. E se quella base non è solida, la voce non potrà mai esserlo davvero.
Definire il posizionamento
Accanto ai valori e alla visione, c’è un altro elemento che influisce profondamente sulla voce: il posizionamento. In altre parole: che ruolo vuoi occupare nella mente delle persone? Cosa fai meglio degli altri? Quale promessa mantieni in modo unico?
E soprattutto: in cosa non somigli ai tuoi competitor, anche quando operate nello stesso mercato?
Il tone of voice non può prescindere da queste scelte: una voce davvero efficace non nasce solo da ciò che il brand è, ma anche da come vuole farsi riconoscere.
Un brand che punta sulla chiarezza e sull’accessibilità userà una voce semplice e trasparente. Un brand che si propone come alternativa più fresca o innovativa rispetto ai competitor avrà una voce più diretta e coraggiosa, mentre un brand che si presenta come punto di riferimento stabile tenderà a usare un tono più misurato e rassicurante.
Definire il posizionamento significa dare alla voce un orientamento: non solo ciò che deve comunicare, ma come deve distinguersi nello spazio affollato della comunicazione.
Studiare il pubblico target: senza empatia non si parla
Comunicare bene significa avvicinare due mondi. E questo avvicinamento può nascere solo da una cosa: conoscere chi hai di fronte e trovare un punto di incontro tra ciò che conta per il brand e ciò che conta per l’utente. Per questo conoscere davvero il tuo pubblico, analizzare le tue buyer personas, è fondamentale.
Ma intendiamoci, per “conoscere le buyer personas” non intendo “sapere quanti anni hanno e che lavoro fanno”. Le informazioni demografiche servono, certo, ma non bastano. Per definire una brand voice efficace devi capire come parla il tuo pubblico, quale linguaggio usa spontaneamente, qual è il suo livello di conoscenza sugli argomenti che trattiamo, quali sono i suoi bisogni, le sue paure, le sue aspettative.
Senza questo rischiamo di fare due errori opposti ma molto molto diffusi: parlare in modo generico e neutro o essere autoreferenziali, con l’effetto di creare distanza, di alzare un muro tra noi e chi ci ascolta. Perché se non conosco il contesto di chi ho di fronte, rischio di parlargli addosso, usando parole che non capisce, o che semplicemente non gli servono.
E questo vale anche (e soprattutto) nel B2B, dove spesso si pensa che il tono debba essere per forza formale, tecnico o asettico. Non è così: anche nel B2B la voce deve essere coerente con il brand e rilevante per chi legge.
Per definire una brand voice coerente e riconoscibile devi partire da qui:
- il linguaggio dell’utente
- il suo tono naturale
- il suo livello di competenza
- le sue domande reali
- le sue priorità.
Analizza forum, recensioni, social, interviste. Ascolta il customer care. Entra in contatto con le emozioni vere delle persone che vuoi raggiungere. Perché una brand voice efficace nasce da un’empatia reale, non da un brainstorming creativo in una sala riunioni.
E una content strategy user centrica paga sempre!
Definire uno stile comunicativo coerente
Hai messo a fuoco i tuoi valori. Conosci il tuo pubblico. Ora viene il momento più delicato: trasformare tutta questa energia in una voce stabile, riconoscibile e replicabile.
Ma come si fa a costruire la propria brand voice? Serve una guida operativa. Un manuale pratico, concreto. Un documento che spieghi cosa fare, cosa evitare, quali parole usare, quali no, con esempi reali e declinazioni per ogni canale, ma senza creare burocratismi che potrebbero rendere la comunicazione innaturale.
Ma la guida non basta: va interiorizzata. Va capita, discussa e ridiscussa, allenata. Tutti ( ma proprio tutti) devono saperla usare: chi scrive post, chi risponde alle recensioni, chi fa una demo via Zoom. Perché ogni interazione è una prova del tuo tono. E se non sei coerente, il pubblico lo sente. E se il pubblico lo sente, ti lascia.
Brand voice e tone of voice: attenzione a confonderli!
Molti li confondono, ma brand voice e tone of voice non sono sinonimi.
La brand voice, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, è la tua “essenza narrativa”: riflette i tuoi valori, la tua personalità, la visione che ti guida. Immaginala come la voce narrante di un romanzo: cambia radicalmente l’effetto della storia a seconda che sia ironica come quella di Stefano Benni, lucida e asciutta come quella di Natalia Ginzburg, o visionaria come quella di Italo Calvino. Ecco: la brand voice è quella cosa lì.
Pensando alla voce reale di un essere umano, la brand voice potrebbe essere definita come il suo timbro: a prescindere dalle parole che userà, quella persona avrà quella specifica impronta sonora che la rende immediatamente riconoscibile.
Il tone of voice, invece, è la modulazione di quella voce.
È il modo in cui la tua brand voice si adatta ai canali, alle situazioni e ai contenuti senza snaturarsi. Non è un’etichetta da scegliere e applicare a brand, ma il frutto di un insieme di scelte che definiscono come la brand voice viene modulata.
Una FAQ richiede un tono più pacato e rassicurante; una story su Instagram può essere più leggera e diretta. La voce è la stessa: cambia solo la modulazione.
Capire questa distinzione permette di essere coerenti, evitando stonature o contraddizioni.
Le dimensioni del tone of voice
Per modulare la brand voice in modo coerente, è importante definire le dimensioni del tone of voice: parametri che aiutano a stabilire come la voce del brand deve suonare nei diversi contesti.
Le dimensioni funzionano come delle scale: posizionano il brand tra due estremi (per esempio: formale ↔ informale, serio ↔ ironico) e rendono chiaro a tutto il team quanto spingersi in una direzione o nell’altra. Servono a trasformare concetti astratti (“siamo empatici”, “siamo autorevoli”) in indicazioni applicabili.
Sono quindi uno strumento fondamentale per chi scrive ogni giorno per il brand: copywriter, social media manager, content strategist, customer care. E si trovano all’interno del manuale di tone of voice, il documento operativo che traduce la brand voice in scelte linguistiche replicabili.
A cosa servono, nella pratica?
Le dimensioni del TOV aiutano a:
- decidere il registro più adatto a ciascun canale (sito, email, post social, FAQ…);
- mantenere la coerenza anche quando cambia chi scrive;
- stabilire limiti e possibilità (per esempio: quanto possiamo essere ironici? quando è meglio non esserlo?);
- evitare incoerenze: un messaggio da customer care non può avere lo stesso tono di una campagna creativa, ma deve comunque essere coerente all’identità del brand;
- guidare la modulazione della voce quando si passa da un contenuto informativo a uno più emotivo, da un contesto leggero a uno sensibile.
Le quattro dimensioni principali (secondo il Nielsen Norman Group)
Una delle classificazioni più utili è quella proposta dal Nielsen Norman Group, che identifica quattro dimensioni fondamentali:
- Formale vs. informale
Lo stile è istituzionale, professionale e rigoroso oppure più colloquiale, diretto e accessibile? Attenzione: “informale” e “conversazionale” non sono sinonimi perfetti, ma spesso viaggiano insieme. Un tono può essere informale senza essere amichevole, e conversazionale senza essere sciolto. La chiave è capire a chi stai parlando e con che scopo. - Serio vs. ironico
L’approccio è serio, sobrio, “da comunicato stampa”? Oppure c’è spazio per l’ironia, per battute o metafore leggere? Qui non stiamo giudicando se le battute funzionano (quello lo lasceremo al pubblico!) ma solo se c’è l’intenzione di strappare un sorriso. L’umorismo, se usato bene, può essere un magnete emotivo potente. - Rispettoso vs. irriverente
Il brand tratta il tema con rispetto e deferenza, oppure osa un approccio più “fuori dalle righe”? L’irriverenza non è mancanza di rispetto verso il lettore, ma spesso è una scelta strategica per rompere con i cliché del settore e distinguersi dai competitor. Usata bene, è una firma di stile. - Neutro vs. entusiasta
Il tono è asciutto, oggettivo, informativo o trasmette entusiasmo, energia, passione per il prodotto, il servizio o il contenuto proposto? Un brand entusiasta contagia. Un brand neutro, se non ha un’identità fortissima, rischia di diventare invisibile. Anche qui, la scelta va fatta con criterio: l’entusiasmo forzato è peggio della noia.

Caldo, freddo, neutro, colorato: la temperatura del tono
Ogni brand, dunque, colloca la propria voce lungo scale diverse (formale/informale, serio/ironico, rispettoso/irriverente, ecc.) e il risultato finale è l’impronta generale che quella voce assume quando viene modulata nei vari contesti.
Per rendere più immediata questa “impronta”, le dimensioni possono essere raggruppate e visualizzate anche attraverso un’altra classificazione: la temperatura del tono.
È un modo semplice e intuitivo per descrivere l’effetto complessivo che il tono produce, passando dai toni più freddi e distaccati ai più caldi ed empatici, fino ai toni più “colorati”, vivaci e sorprendenti: la temperatura, insomma, è una mappa che aiuta a capire come le diverse dimensioni si combinano e come possono convivere. Per esempio, possiamo avere un tono professionale caldo, un tono amichevole tiepido: sono tutte sfumature che emergono proprio dall’incontro tra le dimensioni.
Questa classificazione permette di orientarsi più rapidamente e di capire che “effetto” fa la voce del brand, senza perdere di vista la complessità sottostante. Ed è il motivo per cui strumenti come il termometro del tone of voice di Valentina Falcinelli sono così utili.

Possiamo raggruppare i tone of voice in quattro grandi famiglie:
Tone of voice freddo
Il più distaccato, adatto a chi vuole trasmettere controllo, precisione, distanza formale. È usato in ambiti dove rigore e precisione contano più dell’empatia e del coinvolgimento.
- Burocratico: ultra-formale, impersonale, spesso poco accessibile perché colmo di tecnicismi, pieno di termini ed espressioni che fai fatica a comprendere. Il tone of voice burocratico viene utilizzato prevalentemente dagli enti pubblici e dalle comunicazioni legali, che spesso non possono fare a meno di essere oscuri.
- Istituzionale: un po’ più umano del precedente, ma rimaniamo sempre nell’ambito delle comunicazioni precise ed unilaterali. Si adatta molto bene alla comunicazione di banche, assicurazioni, grandi aziende che puntano sulla solidità.
Tone of voice neutro
Pulito, sobrio, controllato. Non emoziona, ma rassicura. Fanno parte di questo gruppo i toni:
- Professionale: ideale per B2B, consulenze, settori tecnici. Usa chiarezza e competenza per generare fiducia, senza rinunciare alla creazione di un contesto conversazionale.
- Onirico: questo è molto particolare e ricercato, e non viene utilizzato spesso. È evocativo, astratto, poetico, e si adatta molto bene ai brand che vogliono ispirare (come ad esempio quelli legati a moda e design). Risulta particolarmente efficace se quella che vuoi vendere è un’idea più che un prodotto.
Tone of voice caldo
Qui si entra nel terreno della relazione vera. Il tono diventa umano, colloquiale, empatico.
- Amichevole: un tono che è facile prendere sotto gamba, perché sembrerebbe facile da replicare. E invece forse è uno dei più complessi da padroneggiare. Un tono amichevole parla in maniera più intima e diretta al pubblico, perché conosce e condivide i suoi bisogni. Le parole usate sono semplici, l’approccio positivo. Può essere utilizzato in contesti relativi a servizi e community.
- Colloquiale: una versione più diretta, a volte sfacciata, del tono amichevole. Ottimo per social, email marketing, blog. Efficace se ben dosato: è facile sfociare nella sensazione di “finto amico”.
Tone of voice colorato
Quando vuoi osare, stupire, essere impossibile da ignorare.
- Ironico: gioca, diverte, spiazza. Va bene se hai un’identità pop e riesci a farlo senza sembrare immaturo.
- Aggressivo: spigoloso, provocatorio, polarizzante. Non adatto a tutti, ma se lo reggi, divide e conquista.
Esempi di tone of voice riusciti: quando la voce diventa brand
Per capire davvero come si applica il tone of voice nella pratica, è utile osservare come altri brand lo utilizzano. Gli esempi ci aiutano a vedere la voce in azione e a comprendere più facilmente come possa diventare un elemento distintivo, capace di influenzare la percezione e rafforzare l’identità del brand.
Vediamone tre. Diversissimi, ma tutti magistrali.
Disney: tono magico, sognante, rassicurante

Disney non comunica: incanta. Il suo tono è un invito a tornare bambini, a credere nei sogni, a lasciarsi trasportare. Ogni frase, dalla tagline ai post social, riesce a risvegliare la meraviglia, con quella leggerezza sognante che non scade mai nella banalità.
La magia di Disney sta nella coerenza emotiva: ti accarezza con parole semplici, ma cariche di senso, come se ogni messaggio fosse un abbraccio narrativo. Non spiega, ti fa vivere. Ed è proprio questo il segreto: il tone of voice di Disney non è costruito, è un’estensione della sua promessa emotiva.
Google: tono chiaro, utile, umano

Google ha fatto della semplicità una religione. Il suo tono è pulito, lineare, trasparente. Niente fronzoli, niente frasi a effetto. Solo messaggi utili, immediati, rassicuranti. Anche nei contesti più tecnici, Google non “parla difficile”. Ti accompagna. Ti fa sentire capace.
La forza del suo tone of voice sta nell’essere accessibile senza rinunciare all’autorevolezza.
Monster Energy – Tono crudo, ribelle, graffiante

L’opposto di Google. Monster Energy non vuole piacere a tutti, e si sente. Il suo tono è urlato, sfacciato, borderline. Parla a chi vuole spingersi oltre, a chi non ha paura di osare. Ogni parola è una scossa: ti provoca, ti istiga, ti chiama all’azione.
Ovviamente non è tutto improvvisato: Monster ha costruito una brand voice decisamente allineata al suo pubblico, alle sue passioni, al suo stile di vita. È l’urlo del brand che risuona nei motori, nei tattoo, negli sport estremi. E per chi lo ama, quella voce è identità.
Integrare la brand voice nella tua strategia
Definire la brand voice è un passaggio chiave, ma non basta. Per diventare davvero efficace però, la brand voice deve uscire dalla teoria e entrare nella pratica. Nei documenti, nelle riunioni, nei post, nelle email, nelle demo, nelle crisi. In altre parole: deve diventare cultura, non restare solo su un manuale.
Ecco alcune idee su come renderlo operativo.
1. Crea una guida che serva davvero
Il manuale di tone of voice non deve essere un manifesto estetico o un PDF autoreferenziale. Deve essere uno strumento di lavoro, facile da consultare e da applicare. Deve contenere:
- esempi reali (di messaggi scritti bene e male)
- tabelle do & don’t
- parole consigliate e da evitare,
- declinazioni per canale
- linee guida per i contesti più delicati.
Meglio ancora se distribuisci il contenuto in più formati: un documento completo, una versione sintetica pronta all’uso, e uno spazio collaborativo (come Notion o Confluence) dove il team può commentare, aggiornare, arricchire.
2. Allinea tutti i team
La voce del brand non è proprietà del team comunicazione. Ogni funzione che interagisce con l’esterno — vendite, customer care, HR, product — contribuisce a dare forma alla voce del brand. Se non sono allineati, il tono si spezza.
Organizza momenti formativi, onboarding mirati, roleplay su casi reali. Fai in modo che tutti interiorizzino la stessa lingua.
3. Adatta, ma non snaturare
Una live chat non parla come una landing page, e una presentazione aziendale non suona come una caption Instagram. Ma questo non significa cambiare identità. Significa modulare il tono, non tradirlo. Definisci in anticipo:
- come si esprime la tua voce su ciascun canale,
- con che intensità emotiva,
- con quale livello di formalità.
Serve flessibilità, ma anche coerenza.
4. Ascolta, valuta, rimodula
Il tone of voice non è statico. Va curato, ascoltato, aggiustato. Fai audit periodici sui contenuti pubblicati. Raccogli feedback qualitativi (interni e dal pubblico). Analizza coerenza, efficacia, comprensione.
Domandati: “Questa voce ci rappresenta ancora? Funziona? Dove scricchiola?”. La voce evolve, come evolve il brand.
5. Evolvi, ma con criterio
Ci sono momenti in cui la voce deve cambiare: un rebranding, un cambio di target, una crisi reputazionale, nuovi mercati. Ma attenzione a non stravolgere tutto ogni volta. L’evoluzione va bene, ma va fatta con metodo. Stabilisci:
- chi può proporre modifiche,
- chi le valuta,
- con quali criteri si approva il nuovo tono.
Perché una voce coerente si costruisce nel tempo. E se la cambi troppo spesso, nessuno farà in tempo a riconoscerla.
Dai voce al tuo brand, per davvero
La brand voice non è un orpello creativo, né una scelta estetica da aggiungere in post-produzione. È una leva strategica. È la tua voce nel mondo: quella che parla con i tuoi clienti, i tuoi follower, i tuoi partner. Quella che costruisce fiducia, genera empatia e crea riconoscibilità.
In un ecosistema dove tutto è contenuto, la voce che scegli è ciò che ti distingue. È ciò che fa dire a qualcuno: “Questo brand mi capisce”. È ciò che trasforma utenti in lettori, lettori in clienti, clienti in community.
Non limitarti a “scrivere bene”. Costruisci una voce che rifletta chi sei, che abbia il coraggio di essere coerente, che sappia adattarsi senza diventare anonima. Una voce che ascolta prima di parlare. Che non ha paura di sbagliare, perché sa come correggersi.
La voce del tuo brand esiste già. Magari è sepolta sotto frasi troppo generiche o registri troppo neutri. Ma c’è e merita di diventare una presenza viva e memorabile in ogni canale, in ogni touchpoint, in ogni singola parola.
Quindi allenala, proteggila. E falla parlare.
