C’è stato un tempo in cui bastava scrivere “contenuti efficaci”, allineati alla vision e alla mission aziendale per essere “leader di settore”. Un tempo in cui, per attirare l’attenzione di nuovi prospect, ci si poteva accontentare di formule logore sul sito web e di ammiccare all’audience con contenuti cool sui social.
In quel tempo, online, tutto sommato bastava esserci, perché qualcuno doveva ancora svegliarsi e capire che l’online non era una scelta, ma una nuova cittadinanza da acquisire per sopravvivere.
Oggi quel tempo è preistoria.
Le cose a dirla tutta sono cambiate da un decennio abbondante, ma un bel boost nello sviluppo della trama lo ha dato la pandemia Covid: i giorni bui e casalinghi del 2020 hanno portato le aziende italiane a una nuova consapevolezza, costringendole a spingere l’acceleratore sull’innovazione digitale.
Rispetto ad allora, la curva degli investimenti in digital marketing – com’è ovvio – si è un po’ abbassata, ma resta una certezza: “l’internet” è un territorio colonizzato, affollato, e questo vale sia per la comunicazione B2C che B2B. Abbiamo raggiunto una saturazione importante di contenuti, e distinguersi richiede lo sforzo di un’analisi strategica e comunicativa a regola d’arte. La vera competizione è iniziata, e ogni brand – anche il più iconico – si guarda le spalle, consapevole che i competitor aspettano solo una crisi della relazione con il pubblico per colmare il vuoto e prendersi il loro spazio.
Come fare quindi per evitare di scivolare nel “rumore di fondo”? Costruendo una connessione reale con il proprio pubblico attraverso una strategia di comunicazione user centric. Creando messaggi customizzati, che tocchino i bisogni e le sfide quotidiane delle nostre buyer personas.
L’importanza di distinguersi nell’era del Messy Middle
Conoscere il destinatario di un messaggio è cosa buona e giusta in qualunque contesto comunicativo. Conoscerlo bene diventa vitale se il nostro contenuto deve spiccare nel mare magnum dei contenuti che affollano SERP e feed dei nostri utenti.
E distinguersi, emergere oggi è diventato veramente complesso, un po’ come farsi notare in un’affollatissima app di incontri, dove ogni swipe è tutto e una foto sbagliata è un’opportunità bruciata (e forse per sempre).
Un paragone che mi è costato un po’ di fatica perché da boomer quale sono non ho mai usato un’app di incontri (true story), ma che ci dà l’idea di quanto sia difficile oggi fare il giusto match con i nostri utenti.
Questo non solo perché si è arrivati ad un livello di saturazione dei contenuti veramente importante, ma anche perché il percorso dell’utente non segue più il classico funnel lineare, in cui le fasi di consapevolezza, considerazione e decisione si susseguono in modo prevedibile.
Il viaggio del consumatore si è trasformato in un processo dinamico, confuso e altamente non lineare: il cosiddetto “messy middle“. Nel bel mezzo del loro percorso di acquisto gli utenti si muovono in modo disordinato tra fasi di esplorazione e valutazione: cercano informazioni, confrontano prodotti e servizi, leggono recensioni, spesso tornano sui propri passi e rivalutano continuamente le opzioni disponibili. Sono sovra esposti a una quantità enorme di informazioni e alternative.
In questo ambiente fluido e iper-competitivo, il contenuto che li affascina e li convince deve parlare direttamente ai bisogni, alle emozioni e ai loro desideri, guidandoli in modo efficace attraverso il caos informativo del messy middle.
Secondo i dati del rapporto sullo Stato del Content Marketing 2023: la ricerca sul pubblico è stato il fattore principale che ha portato al successo del content marketing per il 47% delle aziende.
Insomma, vince il brand che non si limita a promuovere prodotti o servizi, ma crea una connessione autentica e di fiducia, che lo distingue e lo posiziona come la scelta giusta nel momento in cui l’utente è pronto a decidere.
Come si costruisce una strategia utente – centrica?
Per mettere davvero l’utente al centro, non basta una manciata di dati o qualche intuizione. Servono degli step precisi, delle piccole grandi mosse che ci aiutino a capire e ad avvicinarci alle persone che vogliamo coinvolgere. Ecco quindi gli ingredienti essenziali per una strategia che fa la differenza.
L’indispensabile: analisi delle buyer personas
Prima di tutto, bisogna partire da un’analisi delle buyer personas. Sì, lo so, solo le grandi aziende possono permettersi ricerche di mercato costose o survey su larga scala, ma non sempre è necessario arrivare a tanto. Una buona pratica che ogni azienda dovrebbe fare sua è parlare con la rete vendita, con chi si occupa di assistenza, insomma con chi ogni giorno ascolta richieste, lamentele, aspettative e problemi. Una bella chiacchierata strutturata per identificare le leve emotive e commerciali che influenzano i processi decisionali delle persone. È un lavoro che ci permette di capire cosa li muove davvero e di costruire contenuti che facciano centro.
In Clickable lo facciamo sistematicamente all’avvio dei progetti: intervistiamo chi in azienda ha il contatto diretto con prospect e clienti e compiliamo una matrice, che ci permette di capire quali domande si pongono le buyer personas e da quale grado di consapevolezza partono, sia rispetto al problema che li porta a cercare una soluzione (leggi: il prodotto o servizio che devi vendere) sia rispetto al brand.
Questo ci consente di creare una strategia mirata sulle reali esigenze del target: pagine del sito, microcopy dell’e-commerce, articoli del blog non nascono da suggestioni, ispirazioni, da una conoscenza vaga sugli “interessi del target”, ma sono una risposta a domande e dubbi reali.
Osservare l’audience nel suo “habitat naturale”
Tanta roba fin’ora, ma si può fare di più. Fotografare le caratteristiche di clienti e prospect non significa avere la chiave per una strategia content inesauribile: la foto resta immobile ma non il nostro “pubblico” e il contesto in cui si muove, né restano uguali nel tempo le esigenze commerciali del brand.
Ecco perché è fondamentale ascoltare e osservare la nostra audience continuamente, immergendoci nel suo ‘habitat naturale’, cioè nei luoghi digitali dove trascorre il tempo e interagisce spontaneamente: social media, forum, e gruppi online. Questo ci consente di cogliere tendenze e segnali importanti per adattare i contenuti alla realtà del pubblico in tempo reale, di connetterci davvero con le persone che vogliamo raggiungere e di creare testi che vendono.
Ma dove vai, se i dati di prima parte non ce li hai?
I First-Party Data (lo sappiamo tutti, ma repetita juvant) sono i dati che raccogliamo direttamente tramite il CRM, le interazioni social, il nostro sito, insomma: tutti i canali proprietari. Sono i dati che hanno più valore perché arrivano direttamente dalla fonte, senza filtri.
Ma attenzione, raccogliere dati è solo una parte del lavoro: saperli interpretare è fondamentale. Analizzare le transazioni d’acquisto o le pagine visitate, le interazioni sui social ci permette di identificare pattern e capire quali contenuti interessano di più, quali prodotti hanno maggiore appeal e quali fasi del percorso decisionale richiedono attenzione. In altre parole, l’interpretazione è la chiave di una strategia data driven.
Ovviamente, tutto questo va fatto rispettando le normative sulla privacy. Gli utenti sono sempre più attenti a come i loro dati vengono trattati e un uso trasparente e responsabile non solo costruisce fiducia, ma è anche la base per una relazione duratura e di valore.
Il nostro tesssoro: analisi dei contenuti degli utenti e interazioni dirette
Come si diceva, sono dati di prima parte anche quelli che otteniamo da contenuti interattivi perché rientrano tra le informazioni raccolte “direttamente dalla fonte”. Sondaggi, quiz e altre forme di engagement – sui social, ma anche sul sito – sono preziosissimi perché non solo ci aiutano a creare un dialogo continuo con l’audience, ma anche a pianificare in modo strategico i contenuti editoriali, sia per il blog che per i social.
Stimolare l’interazione infatti ci consente di ottenere un feedback autentico su ciò che interessa realmente agli utenti, aiutandoci a strutturare una strategia di contenuto che rispecchi i loro bisogni e preferenze, rendendo ogni pubblicazione più mirata ed efficace.
L’AI può aiutarci a costruire una strategia content user centred?
Claro que sì, l’AI fa anche questo. Nel dirlo mi sento un po’ come i vecchi venditori porta a porta del Tuttofare Bimby® Vorwerk, ma è la verità, a patto che dal’AI ci si aspetti un affiancamento operativo, e non una soluzione o un’idea illuminante.
A patto che sia affidata alle mani di uno specialista di contenuti in grado di brieffarla, guidarla, correggerla, istruirla. In grado di scremare tra suggerimenti e testi da cassare e sostituire, e dritte valide.
A patto, insomma, che la si guardi per quello che è: uno strumento operativo che potenzia la competenza e la creatività umana, non una bacchetta magica, né un’automazione a “pilota automatico”, e questo vale per la pianificazione della strategia, vale per la stesura dei contenuti, per qualunque canale e per qualunque tipo di testo.
Per funzionare davvero, l’AI deve essere guidata con precisione. Va brieffata con esempi di testi che riflettono le esigenze del nostro target e che utilizzano il loro linguaggio, fornendo istruzioni chiare sugli obiettivi di comunicazione, la strategia, il tono di voce del brand e il livello di consapevolezza degli utenti. Dobbiamo fornire un quadro chiaro su chi sono i nostri utenti, cosa cercano e come preferiscono comunicare. Solo così possiamo sfruttarne il potenziale per creare contenuti che non siano solo più rapidi da produrre, ma che siano anche autentici, rilevanti e in linea con ciò che il nostro pubblico si aspetta.
Dell’importanza dell’empatia
Tutto molto bello: i dati, le interviste, l’AI, ma ricordiamo a noi stessi che non esiste comunicazione reale, autentica, e quindi “efficace” senza la capacità di mettersi nei panni dell’altro, senza una buona dose di empatia. Il nostro obiettivo, ancora prima di “vendere”, di “spingere l’utente a compiere un’azione” è quello di capirlo, di provare a leggere le sue emozioni, i bisogni e le preoccupazioni. Perché un messaggio empatico è capace di andare oltre la semplice informazione: costruisce anche una fiducia duratura, instaura un legame, trasmette autenticità e rende il brand più accessibile e umano.
Capire l’audience: best practice per la tua content strategy [Invito al Webinar]
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