Non è più possibile guardare al futuro del marketing digitale senza fare i conti con l’Intelligenza Artificiale (IA). I LLM (Large Language Model) e gli strumenti che ci si appoggiano stanno scuotendo profondamente le fondamenta dell’ecosistema digitale, e cose che fino a ieri sembravano degne di un episodio di Black Mirror – come l’analisi quasi istantanea migliaia di recensioni per estrarre insight, la personalizzazione in tempo reale di un’interfaccia e-commerce in base al comportamento dell’utente, o addirittura la generazione di naming e slogan con toni coerenti con la brand identity – oggi sono il pane quotidiano di chi lavora nel content e nel marketing strategico.
Ad oggi non si può pensare di lavorare su internet ignorando i modi in cui l’IA sta ridefinendo il percorso di acquisto, influenzando ogni tappa del messy middle e le strategie SEO. Per questo avere una panoramica completa risulta utilissimo sia per farsi un’idea complessiva della situazione ed integrare nuove risorse che all’interno della tua content strategy.
Perché l’IA non è più opzionale nel digital marketing
Gli algoritmi e le piattaforme hanno ricevuto numerosi aggiornamenti durante gli anni (solo Google negli ultimi 15 anni ne ha ricevuti più di 20, che abbiamo raccontato in un articolo dedicato alla sua storia). Si tratta di risposte a delle innovazioni ben precise portate dall’Intelligenza Artificiale, come ad esempio:
- I tool di content generation – da GPT‑powered plugin a editor predittivi – stanno riducendo i tempi di produzione fino al 70%, consentendo ai team di concentrarsi su strategia e creatività piuttosto che azioni operative. Insomma, come raccontava il mio collega Matteo in un altro contenuto, l’Intelligenza Artificiale sta cambiando il lavoro.
- Le piattaforme di advertising spostano budget su campagne ottimizzate da algoritmi che apprendono in tempo reale, migliorando i tassi di conversione e riducendo il costo per acquisizione.
- Gli strumenti di analisi comportamentale integrano modelli predittivi per individuare con precisione pattern di ricerca emergente e anticipare tendenze, piuttosto che reagirvi.
- In diversi casi l’AI Overview sta dando forti scossoni al rapporto tra clic e conversioni, diminuendo i primi a favore delle seconde: vedere i numeri che crollano da un momento all’altro senza sapere cosa sta cambiando potrebbe portare a delle analisi fuori focus.
Questi elementi rendono l’IA un fattore determinante, e ne fanno anche un pilastro per un approccio user‑centric davvero efficace, oltre a creare nuovi KPI da tener d’occhio per misurare il successo effettivo di un progetto.
AI SEO: quali sono le nuove metriche e come cambia l’ottimizzazione per i motori di ricerca
Chiariamo una cosa: come ribadiva qualche mese fa Giorgio Taverniti all’interno di uno dei nostri talk (che trovi in fondo a questo articolo), la SEO non è morta, sta solo cambiando pelle. L’avvento dell’AI generativa e l’espansione degli AI Overviews di Google – quelle risposte pronte e citate direttamente nella SERP – hanno trasformato il modo in cui gli utenti cercano, interagiscono e… cliccano (o meglio, non cliccano più).
Un’analisi di SparkToro ha rivelato che il 58% delle ricerche negli USA e il 59% in Europa oggi finisce senza alcun clic: le cosiddette zero-click searches. Ma non è una catastrofe: significa solo che dobbiamo ripensare le metriche. Il traffico non è più il solo KPI da tenere d’occhio. Oggi contano:
- Tempo di permanenza sul sito (i contenuti riescono a trattenere e ingaggiare l’utente?)
- Conversion rate (il contenuto porta l’utente a compiere azioni di valore, come iscrizioni o acquisti?)
- Menzioni del brand (il contenuto viene citato dai modelli AI?)
In questo scenario, l’AI SEO si gioca su due fronti:
- AI per la SEO, ovvero l’uso di algoritmi per automatizzare keyword research, creare contenuti, analizzare i competitor, ottimizzare tecnicamente un sito.
- SEO per l’AI, ovvero scrivere e strutturare i contenuti affinché siano leggibili e citabili dai modelli generativi: significa costruire cluster tematici, semplificare la semantica, usare formati Q&A e markup come FAQPage e HowTo. In questo contesto entrano in gioco anche GEO (Generative Engine Optimization) e AEO (Answer Engine Optimization): la prima riguarda l’ottimizzazione dei contenuti per essere scelti e mostrati dai motori generativi (come ChatGPT, Gemini o Perplexity), mentre la seconda si concentra sull’essere preferiti dai cosiddetti motori di risposta (come gli AI Overviews di Google o strumenti verticali di Q&A). In entrambi i casi, l’obiettivo è aumentare la probabilità che i contenuti del brand vengano non solo letti, ma anche selezionati come risposta autorevole. In ogni caso bisogna tenere ben presente che sigle come “GEO” e “AEO” non sono considerabili dei veri e propri acronimi che definiscono “un mestiere a parte”. Parliamo piuttosto di specifiche attività strategiche, che si aggiungono alle best practises della SEO. Volendo semplificare in modo estremo, ad esempio si potrebbe sintetizzare la GEO come “copywriting fatto bene”, mentre l’AEO rientra comunque in un processo già presente in una buona strategia SEO, ovvero quello di rispondere in maniera completa e puntuale alle esigenze e alle domande degli utenti.

Insomma: addio keyword stuffing. Benvenuto intent‑driven content. È il momento di capire come sfruttare l’AI (e non il contrario).
SEO su TikTok e Instagram: i nuovi motori di ricerca della Gen Z sono social
Se pensavi che la SEO fosse una faccenda tra marketer e algoritmi di Google, siediti: abbiamo una notizia per te. O meglio, la Gen Z ha una notizia per tutti noi. Oggi i contenuti non si cercano più (solo) su Google. Si scoprono nei feed di TikTok, Instagram, Reddit e persino YouTube Shorts.
Uno studio pubblicato da Adobe rivela che più di due americani su cinque usano TikTok come motore di ricerca e che il 64 % della Generazione Z ricorre a TikTok per cercare informazioni, percentuale che scende al 49 % tra i millennial. Sempre per la stessa ricerca, quasi un decimo dei Gen Zer preferisce TikTok a Google quando deve trovare qualcosa. La piattaforma non serve più solo per svago: gli utenti la consultano per ricette, musica, tutorial fai‑da‑te e consigli di moda. Non si tratta di un’eresia, ma di una vera rivoluzione semantica.

E mentre il social search cresce, dal 10 luglio 2025 anche i post pubblici di account professionali di Instagram vengono indicizzati dai motori di ricerca (Google incluso), consentendo ai contenuti dei creator di comparire direttamente nei risultati di ricerca.
Okay, quindi i social stanno iniziando a comparire in SERP. Cosa cambia lato Google? Cambia il meccanismo di ingresso dei contenuti: secondo quanto emerso nel nostro webinar con gli esperti di SEOZoom (che puoi recuperare qui sotto), Google utilizza un algoritmo distinto per i risultati provenienti da social e, quando “si attiva il trigger social”, inserisce i video (es. TikTok, Reels, Shorts) in media tra la 4ª e la 7ª posizione, senza competere direttamente con l’algoritmo che seleziona le classiche 10 pagine organiche. Questo apre una corsia parallela al ranking web tradizionale. In parallelo, i segnali sociali alimentano la percezione di E‑E‑A‑T/Trust del brand (menzioni, engagement, consistenza cross‑canale) e contano su due piani complementari: reputazione e visibilità.
Insomma, si tratta di una vera rivoluzione semantica, che avrà un importante impatto sulla maggior parte dei business, come evidenziato anche da Forbes.
Cosa significa tutto questo per i brand? Che i contenuti verticali sui social non sono più una “voce in più” nel piano editoriale. Anzi, in verità, stanno diventando rapidamente asset SEO in tutto e per tutto. Video TikTok, Reels, Shorts ben ottimizzati con titoli parlanti, hashtag mirati e coinvolgimento reale continuano sì ad essere ottimi strumenti per spingere l’engagement, ma allo stesso tempo finiscono sempre più spesso anche nella SERP di Google, spesso sopra i risultati organici classici. Per questo, a seconda del tuo ambito, potrebbe essere utile individuare le query per cui Google mostra risultati da TikTok/Instagram/YouTube e presidiarle costantemente con contenuti nativi.
Ecco perché oggi parliamo di social search e non più solo di social media. E la visibilità non è (solo) questione di ranking: è presenza nei feed giusti, conversazione nel tono giusto, contenuto nel formato giusto.
E no, qui non parliamo “semplicemente” di balletti: devi parlare come il tuo pubblico cerca.
Il boom della Voice Search: come farsi trovare con la ricerca vocale
Parlare con un assistente vocale non è più un gesto futuristico: è una pratica quotidiana per milioni di utenti. Nel 2025 ci saranno più assistenti vocali attivi nel mondo che persone. No, non è un errore: DemandSage ad esempio prevede che supereranno quota 8,4 miliardi.
Ignorando tutte le evidenze ed i segnali, molti brand non sono ancora pronti per rispondere alla domanda: “Dove trovo la migliore pizzeria vicino a me?”, nemmeno nel caso in cui si trattasse proprio della loro pizzeria.
La voice search non funziona come una query digitata: è più naturale, conversazionale, geolocalizzata. Ecco perché per ottimizzare davvero, servono:
- Conversational keywords: frasi lunghe, in tono parlato. Non “miglior dentista Milano”, ma “qual è il dentista più affidabile vicino a me?”
- Google Business aggiornato: indirizzi, orari, categorie, recensioni. Tutto ciò che serve per “entrare nella risposta” dell’assistente vocale.
- Markup e FAQ semantiche: Google ama i contenuti strutturati e parlanti. Una sezione Q&A ben fatta può essere il tuo biglietto d’ingresso nella risposta.
- Mobile-first e fast-loading: oltre il 58% degli utenti mobile ha usato almeno una volta la ricerca vocale, mentre il 20% la usa regolarmente. Se il tuo sito è lento, inutile chiedere una seconda chance: l’AI ha già risposto… con un altro.
Il bello? Ottimizzare per la voce ti prepara anche per gli AI Overviews: stessa logica conversazionale, stessa fame di contenuti chiari, sintetici, umani.
Dalla keyword al fan‑out: come diventare la fonte che gli AI Overviews citano
Se stai ancora misurando il successo in numero di clic, ho solo brutte notizie per te. O meglio: posso dirti con certezza che hai bisogno di nuove metriche. Con l’arrivo degli AI Overviews – le risposte automatiche di Google nella SERP – la visibilità cambia pelle: oggi bisogna essere citati, oltre che posizionati.
Una recente ricerca del Pew Research Center, condotta su 900 utenti del panel KnowledgePanel, ha rilevato che circa 1 ricerca su 5 (circa il 18 %) su Google include un AI Overview, quota che sale al 60 % per le query formulate come domande e al 36 % per quelle in forma di frase intera. Quando un AI Overview è presente, il tasso di clic verso i risultati organici scende all’8 % rispetto al 15 % delle ricerche senza AI Overview, quasi dimezzandosi.
Detto questo, solo l’1 % di questi riepiloghi AI si concretizza in un clic su uno dei link citati, segno che la maggior parte degli utenti trova ciò che cerca direttamente nella risposta generata, senza proseguire la navigazione.
Dal “termine” al fan‑out: Google e il ventaglio di query
Con gli AIO, Google non “risponde” a una keyword secca: apre un ventaglio di micro‑query correlate (il fan‑out), lancia più ricerche in parallelo, e seleziona le pagine migliori, per poi sintetizzare il tutto nella risposta. Di conseguenza, bisogna progettare e misurare la pagina sul cluster, non sulla singola keyword: il centro è l’esigenza dell’utente, non “una long‑tail a caso”.
Lo screenshot qui sotto mostra chiaramente questo meccanismo applicato alla query “bagaglio a mano Ryanair” (citata all’interno del nostro recente webinar con gli esperti di SEOZoom):

L’AI Overview non si limita a ripetere una definizione generica, ma apre il ventaglio di micro-query collegate all’esigenza dell’utente (“posso portare un trolley con Ryanair?”), restituendo una risposta articolata:
- Bagaglio personale (dimensioni 40x20x25, gratuito, sotto al sedile)
- Trolley da cabina con Priority (dimensioni 55x40x20, peso max 10 kg, costo extra)
- Bagaglio da stiva (opzioni 10 kg, 20/23 kg con check-in, costi aggiuntivi)
Ogni voce risponde a una sotto-domanda specifica del cluster: “quali misure sono gratuite?”, “quanto può pesare?”, “serve acquistare il Priority?”, “cosa cambia con la stiva?”.
È l’esempio perfetto di come il motore generativo non parta da un termine isolato, ma da un’intera esigenza utente che si scompone in più rami del fan-out.
Questo significa che, per diventare la fonte che l’AI sceglie e cita, la tua pagina deve coprire tutto il ventaglio: snippet introduttivo chiaro, tabelle con le misure, FAQ che riflettono le domande reali, esempi concreti e segnalazioni pratiche (come costi e avvertenze). In altre parole, progettare il contenuto “AIO-first” significa anticipare le micro-query che l’AI lancerà in parallelo.
SERP Affinity & cluster
Già prima degli AIO, analizzando i risultati si osservava che per una pagina esiste un gruppo di 500‑600 query che restituiscono il 70‑80% degli stessi risultati: quello è il tuo cluster naturale. Oggi quella affinità diventa il modo giusto di progettare (cosa mettere nella pagina) e misurare (quanto copri il ventaglio).
Perché le keyword non sono morte
Tecnicamente l’indice di Google ha bisogno di chiavi piccole (keyword) per interrogare il database. Google non può indicizzare i prompt; usa l’AI per capire l’intento, poi traduce in molte keyword e lancia il fan‑out. Dunque le keyword contano a livello di cluster, non come “singole righine” da tracciare una a una.
Per restare rilevanti servono contenuti che l’AI possa:
- Comprendere: grazie a struttura semantica chiara e markup (FAQPage, Article, HowTo)
- Etichettare come autorevoli: soddisfano i criteri E-E-A-T (Expertise, Experience, Authoritativeness, Trustworthiness)
- Scegliere come fonte: rispondono in modo diretto e verificabile a una domanda reale
In altre parole, l’obiettivo non è solo essere visibili. È diventare la fonte, un riferimento solido ed affidabile, che presentino una struttura semantica leggibile, risposte dirette e E-E-A-T solide, e che abbiano, se possibile, la capacità non solo di intercettare, ma addirittura di anticipare le domande dell’utente e di coprire fan‑out delle micro‑query che Google lancia in parallelo per sintetizzare la risposta. Insomma, non si ottimizza per una singola keyword, ma per un cluster di intent collegati alla stessa esigenza. Una buona pratica in questa direzione potrebbe essere quella di creare dei brevi snippet brevi, pronti per essere citati all’AI Overview. Devono essere brevi (2-3 righe), essere posti all’inizio dell’articolo, e devono rispondere in modo secco alla domanda principale.
A questo si aggiunge il fatto che, le metriche cambiano: via libera a tempo di permanenza, menzioni del brand nei contenuti AI, conversioni post-ricerca. Google non misura più solo chi arriva da te: vuole sapere cosa fa quando ci arriva.
Per questo, è importante anche aggiornare metodi e KPI da tener d’occhio in dashboard, come:
Conversioni post‑ricerca & branded search: meno visite ma più fiducia e vendite quando l’utente ti vede dentro l’Overview e poi cerca direttamente il tuo brand.
Copertura del fan‑out: quanto il tuo contenuto è competitivo sul set di keyword affini attivate dall’Overview (concetto di SERP affinity e clusterizzazione per pagina).
Prominence nelle AIO: frequenza e ordine delle citazioni/menzioni del brand dentro l’Overview (anche quando non sei in Top10 organica).
“Overview Content Gap”: individua le keyword dove i competitor compaiono in AIO e tu no, per creare o rifinire contenuti che colmino il gap.
Strategie “AI-proof”: come restare visibili nel caos algoritmico
Sopravvivere nell’era dell’AI (e magari dominare la SERP) non è questione di amuleti, SEO dance sotto la luna piena o keyword infilate come coriandoli in ogni frase. È un lavoro da artigiani della visibilità: metodo, analisi, capacità di leggere i dati… Insomma, serve una visione d’insieme che vada oltre il singolo post o la singola pagina. Ecco alcune best practice per rendere la tua SEO a prova di futuro.
Parti dall’intento, non dalla keyword
L’AI non è più la vecchia Google di una volta che “abboccava” alla keyword esatta ripetuta tre volte nel primo paragrafo. Le query sono sempre più conversazionali: Google genera un ventaglio di micro‑query e sceglie le fonti migliori su tutto il cluster. Il punto di partenza non è accumulare long‑tail, ma mappare le esigenze (informazionali, transazionali, comparative, post‑vendita), selezionando le poche domande che riassumono davvero il bisogno.
Ragiona per intenzioni: cerca di capire non cosa scrive l’utente, ma perché lo scrive. Chiediti prima di tutto quali sono le sue esigenze, ponendoti tre semplici domande:
- Che domanda c’è dietro quella ricerca?
- Quale frustrazione vuole risolvere?
- Quale scenario immagina come “successo”?
Scrivi pensando a quel bisogno. Usa titoli chiari, H1 e H2 strutturati con logica, paragrafi introduttivi che funzionino come “mini-snippet” pronti da essere pescati dai motori e inserisci comparative/tabelle direttamente nelle pagine (anche e‑commerce), così da alimentare sia le AIO sia la scelta dell’utente. Prova a fare delle ricerche anche sui tuoi competitor, per capire come si muovono in questo ambito. In ogni caso una cosa rimane sempre valida: se l’utente trova la risposta in due righe, hai vinto: tornerà.
Organizza il sito in cluster tematici
Un sito SEO-proof non è una collezione di articoli buttati lì “come vengono”.
È una biblioteca tematica: poche pillar page che centralizzano un macro-tema, attorno alle quali orbitano articoli satellite interconnessi.
Lavorare con pillar page + satelliti per presidiare un tema in profondità::
- Aiuta i motori a percepire la tua autorevolezza su un argomento
- Migliora la navigazione e il tempo medio di permanenza
- Ti rende meno vulnerabile alle fluttuazioni algoritmiche
Case Study: HubSpot ha trasformato il proprio blog in una rete di pillar page e articoli satellite che presidiano ogni fase del percorso d’acquisto B2B.
Risultato: per keyword ad alta competizione come content marketing strategy HubSpot non si limita a presidiare la prima posizione, ma domina anche le ricerche correlate grazie alla coerenza semantica interna. Quando Google “capisce” che sei tu la fonte autorevole, ti premia ovunque.

Cura la reputazione (online e offline)
Gli algoritmi sono affamati di fiducia. Biografie degli autori complete e trasparenti, fonti citate e verificate, recensioni su siti di settore, menzioni su portali verticali: sono la tua valuta d’oro nel nuovo web. Più la tua presenza è percepita come autorevole, più è probabile che tu venga citato nei AI Overviews. Non dimenticare mai che il trust si coltiva anche offline – eventi, workshop e collaborazioni fanno eco nel digitale.
Ottimizza per mobile, voce e feed
Un sito oggi deve essere:
- Veloce (per utenti e motori), rispettando i Core Web Vitals
- Responsive su ogni device
- Strutturato con markup semantici (FAQ, recensioni, local schema)
Ma non basta più: devi uscire dalla SERP e colonizzare i feed. TikTok, YouTube, Instagram: non per “esserci”, ma per creare contenuti capaci di spiccare e nutrire il tuo ecosistema SEO.
Case study: Decathlon non si limita a ottimizzare le schede prodotto. Ha investito su TikTok e YouTube con micro-video tutorial (es. Come montare una tenda in 60 secondi) che portano traffico diretto e rendono visibile il brand nei risultati video della SERP di Google. Così intercettano l’utente prima che inizi la ricerca tradizionale, aggirando il rumore competitivo e attirando traffico già qualificato.

Misura sia qualità che volume
Il traffico per il traffico è un lusso vuoto. Conta:
- Tempo medio sulla pagina
- Azioni compiute
- Brand recall
E in più tieni sempre più d’occhio queste nuove metriche legate all’AI Overview:
- AIO Presence/Prominence (quante volte e dove vieni citato nelle Overview)
- Fan‑out coverage per pagina/cluster (affinità di SERP e share sul set di query attivate).
- Overview Content Gap (lista delle keyword dove i competitor entrano in AIO e tu no).
- Branded search uplift e conversioni post‑Overview (effetto “fiducia” generato dalla citazione in AIO).
Un utente che resta, interagisce e ricorda il tuo brand vale più di mille clic “mordi e fuggi”. Misurare solo le visite oggi è come giudicare un film solo dal numero di biglietti venduti, ignorando se il pubblico è rimasto in sala fino ai titoli di coda.
Bonus: diversifica le fonti di contenuto
Affidarsi solo al traffico organico è rischioso come vivere con un solo cliente che ti paga tutte le fatture. Sperimenta con:
- Newsletter e community proprietarie
- Formati evergreen (guide, tool interattivi, risorse scaricabili)
- Contenuti UGC e collaborazioni con micro-influencer verticali
Più canali possiedi, meno dipendi dall’umore degli algoritmi.
Bonus 2: integra AI e human touch
Usa l’AI per ricerca, sintesi dati, SEO audit, ma mantieni la pennellata umana nella scrittura.Gli algoritmi premiano la pertinenza e la chiarezza, ma è il tocco umano e personale a far restare l’utente.
SEO nel 2025: più strategia, meno keyword stuffing
Diciamocelo: la SEO del futuro non sarà un mestiere da solisti. Non basterà conoscere l’algoritmo: serviranno visione strategica, capacità narrative e un’acuta intelligenza culturale. A fare davvero la differenza sarà chi saprà leggere i dati ma anche le emozioni degli utenti, chi domerà i tool di intelligenza artificiale trattandoli non come stampelle creative, ma come amplificatori della propria visione, e chi scriverà testi che l’AI potrà anche citare e che le persone ricorderanno.
Perché se è vero che i modelli generativi stanno riscrivendo le regole del gioco, è altrettanto vero che storie, punti di vista autentici e connessioni umane restano il vero capitale di un brand. La SEO non è morta: sta semplicemente diventando più umana, più immersiva, più strategica.
Vuoi costruire una strategia SEO che funzioni nel mondo dell’AI?
Non basta “esserci” su Google. Né sperare che l’algoritmo ti noti per caso. Oggi, tra AI Overviews, social search e zero‑click searches, la vera partita si gioca su un campo nuovo, dove la tua visibilità dipende dalla capacità di diventare la fonte che l’AI cita e le persone ricordano. Significa unire visione strategica, contenuti intent‑driven, presidio cross‑piattaforma e un ascolto radicale delle tue buyer personas.
In Clickable aiutiamo brand e team a non perdersi il messy middle grazie a mappe e strumenti aggiornati, integrando AI e dati proprietari per costruire contenuti che non siano solo ottimizzati, ma che rispondano davvero a ciò che il tuo pubblico cerca, nel formato e nel momento giusto.
Se vuoi portare il tuo brand nel futuro della search, ti invitiamo a scriverci per prenotare una call. Lavoreremo insieme per farti trovare sia dagli utenti… che dall’AI.
Vuoi vedere in azione tutto quello di cui abbiamo parlato?
Questo talk su YouTube è la prosecuzione naturale di quanto hai appena letto. Un’esplorazione lucida (e senza peli sulla lingua) di come l’AI stia riscrivendo le regole della SEO: dal crollo del traffico organico all’ascesa degli AI Overviews, fino alla search che avviene prima ancora che qualcuno digiti qualcosa.
E se dopo ti sentirai un po’ meno sicuro e molto più ispirato, vuol dire che sei sulla strada giusta.
