Quando una persona digita qualcosa su Google, non sta solo scrivendo delle parole: sta esprimendo un bisogno. Il compito della SEO moderna è interpretare quel bisogno e offrire la risposta più pertinente possibile. Ecco perché oggi non è sufficiente lavorare sulle parole chiave: bisogna comprendere cosa le persone vogliono davvero scrivono nella barra di ricerca. Questo approccio aiuta a costruire contenuti che si posizionano meglio e che intercettano utenti davvero interessati.
Dunque cos’è l’intento di ricerca e quali tipologie esistono? Perché è fondamentale per la SEO? E, infine, come analizzarlo per ottimizzare al meglio i contenuti del tuo sito?
Ma soprattutto, in che modo può aiutarti può contribuire nella tua strategia di digital marketing?
Il nostro obiettivo è quello di esaudire i desideri degli utenti, per trasformarli in clienti. Perché Google ci interessa molto, ma il tuo brand viene prima di tutto!
Cos’è il search intent?
Il search intent, o intento di ricerca, è l’obiettivo che l’utente ha in mente quando fa una ricerca online. In altre parole, è la ragione per cui una persona apre Google e scrive una determinata query (quello che digita nella barra di ricerca).
Capire l’intento degli utenti significa interpretare il momento in cui si trovano e immaginare cosa si aspettano dai risultati di ricerca. Vuole solo informarsi? Sta valutando diverse opzioni? È prontə ad acquistare?
“La nostra missione è organizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e utili”
Ma per essere davvero utili, le informazioni devono rispondere a ciò che l’utente cerca in quel preciso momento, non limitarsi a contenere le stesse parole chiave che ha digitato.
Un po’ di storia per capire meglio
Il concetto di search intent non è certo nuovo. Il termine è stato coniato da Andrei Broder in un paper del 2002, allora dipendente di Altavista, che ha intuito per primo una cosa fondamentale: dietro ogni ricerca online c’è un “perché”. C’è un’intenzione, un’esigenza reale. È da lì che parte il search journey, il percorso di ricerca dell’utente che oggi, come ben sappiamo, è tutto fuorché lineare.
Negli anni, questo approccio è diventato sempre più centrale nel mondo del digital marketing. Si può dire che lo studio dell’intento di ricerca sia il padre della keyword research: prima ancora di cercare le parole giuste, dobbiamo capire perché le persone fanno certe ricerche. Solo così possiamo creare contenuti davvero pertinenti, sia per le persone che per i motori di ricerca.
Per questo motivo, quando pianifichiamo articoli, pagine prodotto o qualsiasi altro asset digitale, la domanda fondamentale da porsi è: “Sto davvero rispondendo a ciò che l’utente sta cercando?”.
Tutto inizia dall’ascolto
La capacità di intercettare gli intenti di ricerca parte sempre da un’attività spesso sottovalutata, potremmo definirla come l’attività zero, ovvero: ascoltare.
Ascoltare cosa dicono i tuoi clienti (reali e ideali), cosa chiedono e come lo chiedono (il linguaggio che usano). Ascoltare le conversazioni con il team vendite, le domande che si ripetono spesso, le difficoltà più comuni.
Peter Drucker, uno dei più grandi pensatori di management di tutti i tempi, lo diceva chiaramente nel suo libro The Effective Executive: The Definitive Guide to Getting the Right Things Done: Ascolta prima, parla dopo. Un principio che vale anche nella SEO: se non capisci prima cosa vogliono davvero le persone, rischi di costruire contenuti che parlano a vuoto, ti fanno perdere tempo e risorse preziose.
Non siamo qui per fare una caccia alle parole chiave (o meglio, non solo): dobbiamo orientarci alla comprensione del comportamento umano.
E qui arriva un altro punto chiave: Google non lavora per esaudire i tuoi obiettivi di marketing. Lavora per rispondere al meglio ai bisogni degli utenti. Se anche tu riesci a metterti dalla loro parte, a comprenderne l’intento e costruire contenuti utili e rilevanti, allora non saranno solo gli algoritmi a premiarti, ma le persone cominceranno a fidarsi di te.
Alla fine, anche noi siamo sempre gli utenti per qualcun altro, per un altro brand e per un altro sito: quando cerchiamo qualcosa su Google, vogliamo una risposta rapida, chiara e che parli proprio a noi. Quando pensiamo alla nostra strategia per posizionarci sui motori di ricerca, domandiamoci sempre “Se dovessi fare io questa ricerca, cosa digiterei? Cosa vorrei sapere? Quale informazione mi farebbe cliccare?”.
Le 4 tipologie di search intent (+2)
Nel corso degli anni, il modo in cui le persone cercano online è diventato sempre più complesso. All’inizio si parlava di tre grandi categorie di intento di ricerca, poi diventate quattro. Ma con l’evoluzione degli algoritmi e una maggiore consapevolezza del comportamento degli utenti, oggi possiamo riconoscere almeno sei tipologie principali di search intent.
Comprenderle significa avere una mappa delle intenzioni dietro ogni ricerca: un’ottima base per costruire contenuti più efficaci e una strategia SEO davvero orientata al risultato.
1. Informativo
È uno degli intenti più diffusi. L’utente vuole imparare qualcosa di nuovo, chiarire un dubbio o approfondire un argomento. Le ricerche possono essere generiche o molto specifiche, ma il punto è sempre lo stesso: trovare risposte affidabili.
Qualche esempio: “cos’è l’inbound marketing”, “come ottimizzare un sito web”.
Best content: articoli di blog ben strutturati, guide dettagliate, approfondimenti tecnici che coprano il topic e sottoargomenti correlati in modo esaustivo.
2. Navigazionale
Qui l’obiettivo dell’utente è raggiungere una destinazione precisa. Non sta cercando genericamente un prodotto o un servizio, ma un sito specifico o una pagina ben definita. In pratica, Google diventa una scorciatoia.
Esempi tipici: “area clienti Poste Italiane”, “LinkedIn login” e in generale, le keyword di brand.
Per soddisfare al meglio le query con intento navigazionale: è fondamentale offrire contenuti chiari, ben strutturati e facilmente accessibili. L’utente ha già in mente dove vuole arrivare, quindi non facciamolo perdere per strada: c’è il rischio concreto che non torni più a trovarci!
3. Commerciale (o di valutazione)
In questa fase, l’utente è in esplorazione attiva. Ha già un’idea di quello che gli serve, ma vuole valutare opzioni, leggere recensioni, confrontare offerte. È un momento delicato del funnel, in cui contenuti ben costruiti possono fare la differenza.
Delle query commerciali possono essere: “recensioni software di email marketing”, “qual è il miglior hosting per e-commerce”.
Cosa funziona in questo caso: schede comparative, contenuti tipo “vs”, recensioni dettagliate, elenchi di pro e contro, case study, video recensioni.
4. Transazionale
L’intento qui è comprare, iscriversi o scaricare qualcosa. L’utente ha già fatto le sue valutazioni, è convinto della scelta e cerca un punto di accesso rapido all’azione. Spesso queste ricerche sono molto specifiche e orientate al prodotto o servizio.
Esempi tipici: “Hotel Bologna centro”, “comprare amplificatore Marshall”, “Air Jordan prezzo”, “download ChatGPT”.
Best content: pagine prodotto ben ottimizzate, call to action chiare, layout che guida l’utente all’azione, tempi di caricamento ridotti, mobile first.
5. Ispirazionale e risolutivo: due search intent da tenere d’occhio
Oltre alle categorie di intento più conosciute, il panorama delle ricerche si sta arricchendo di nuove sfumature. A raccontarlo bene, con il suo sguardo anticipatore, è Giorgio Taverniti, che nella sua FastLetter di ottobre (se non la segui, devi assolutamente rimediare!) ha messo l’accento su due tendenze interessanti: l’intento ispirazionale e quello risolutivo.
L’intento ispirazionale nasce e si sviluppa soprattutto sui social, dove la logica di ricerca si intreccia con quella della scoperta. In questo caso l’utente non cerca una risposta diretta, ma sfoglia contenuti per trovare idee, suggestioni, spunti visivi o narrativi.
“Gli “ambienti di ricerca” che usiamo per l’ispirazionale e per il risolutivo – scrive Giorgio – vanno nella stessa direzione degli algoritmi di Google per la Search: premiare il brand, premiare l’autorevolezza.”
Dall’evoluzione dell’intento informativo, nasce il risolutivo: l’utente vuole una soluzione immediata a un problema specifico. Non ha tempo (o voglia) di confrontare dieci risultati, aprire altrettante schede o leggere lunghi articoli. Vuole una risposta chiara, sintetica e, se possibile, già pronta all’uso.
Riportiamo questo passaggio di Taverniti perché è fondamentale (ne condividiamo ogni parola!):
“La questione è semplice: se vogliamo comparire per queste nuove ricerche, dobbiamo creare Risorse che rispondano esattamente ai nuovi bisogni, ricchi delle informazioni giuste, con una Autorevolezza molto alta nel settore. Ad oggi siamo ancora fermi a cercare le parole più digitate su Google, figuriamoci quante persone si mettono a cercare i bisogni reali.”
6. Visit in-person query: l’importanza per la SEO locale
Tra le diverse accezioni dell’intento di ricerca ce n’è una che assume un ruolo sempre più rilevante per le attività fisiche e i business locali: la visit-in-person query. Parliamo di tutte quelle ricerche che hanno come obiettivo quello di trovare un luogo da visitare di persona, appunto. Può trattarsi di un’attività commerciale ben precisa (“ristorante vegetariano centro Milano“) oppure di una categoria generica legata a un’esigenza immediata (“negozio di ferramenta vicino a me“, “dentista aperto oggi“).
Google, nelle sue Search Quality Raters Guidelines, dedica una sezione specifica a queste ricerche, sottolineandone il valore e la frequenza, soprattutto per chi utilizza dispositivi mobili.
Queste query nascono spesso da un bisogno urgente o contestualizzato: l’utente ha bisogno di raggiungere fisicamente un luogo e si aspetta di trovare risultati localizzati, affidabili e aggiornati. In altre parole: se sei nelle vicinanze e offri ciò che l’utente sta cercando, è il momento giusto per farti trovare.
Spunti pratici di local SEO per il tuo brand
Se hai un business con una presenza fisica sul territorio (come negozi, studi professionali, ristoranti, showroom, servizi sanitari, centri educativi e di formazione ad esempio), , lavorare bene sulla SEO locale è fondamentale.
Ecco alcuni aspetti da curare con attenzione:
- Aggiorna e ottimizza la tua scheda Google Business Profile: inserisci orari precisi, indirizzo corretto, immagini di qualità della tua attività, del team o dei tuoi prodotti. Pubblica post regolarmente e attira l’attenzione dei tuoi clienti con offerte speciali. In pratica, devi trattare il tuo GBP come un profilo social.
- Usa parole chiave geolocalizzate nei contenuti del sito: per esempio, “studio legale a Bologna”.
- Organizza il sito in modo chiaro: crea pagine dedicate per ogni sede, aggiungi contatti visibili e orari di apertura specifici.
- Gestisci bene le recensioni online: la reputazione prima di tutto. Google premia le attività che trasmettono fiducia attraverso le opinioni dei clienti. Ricordati di rispondere in modo esaustivo a tutte le persone che ti scrivono una recensione (anche a quelle brutte-brutte), non lasciarli a parlare da soli sul tuo Profile!
- Implementa i dati strutturati locali (schema markup): così aiuti Google a leggere correttamente le tue informazioni di contatto e la posizione fisica della tua attività.
Le query di tipo visit-in-person sono un vero e proprio ponte tra dimensione online e offline, e spesso anticipano una visita, una chiamata o una prenotazione. Curarle significa essere presenti quando l’utente è pronto a scegliere, magari proprio mentre si trova a pochi passi dalla tua sede.
Alcuni dati interessanti, direttamente dalla piattaforma Think With Google mostrano quanto queste ricerche siano determinanti per le conversioni locali:
- il 76% delle persone che fa una ricerca local da smartphone visita poi l’attività di interesse nelle 24 ore successive.
- il 28% di queste ricerche si trasforma in un acquisto. Parliamo di 1 persona su 3.
Quando qualcunə cerca “vicino a me”, ha già in mente di agire. Essere presenti nel momento giusto, con le informazioni giuste, può trasformare una semplice query in un nuovo cliente che entra dalla tua porta.
Intenti di ricerca multipli e sfumature: nulla è bianco o nero
Spesso una query può avere più di un intento: la ricerca di Google è il riflesso di tutto il campionario umano che ci circonda. E anche online i toni dominanti non sono mai solo il bianco e il nero, ma c’è la gamma dei colori completa.
Pensiamo alla parola “yoga”. Chi la digita potrebbe voler sapere cos’è, le varie tipologie, cercare un corso vicino casa, guardare un video su YouTube, leggere i benefici per la salute o scaricare un’app. Sta cercando di informarsi, ma magari anche di agire. Magari entrambe le cose, anche se ancora non lo sa.
Ecco perché Google, davanti a query ambigue o generiche, preferisce offrire una varietà di risultati: video tutorial, articoli informativi, app per l’allenamento, mappe con studi locali. Un mix studiato per dare a ogni utente qualcosa di utile. Perché l’obiettivo è sempre soddisfare un bisogno reale, anche se non espresso in modo esplicito (ricorda: Google ci conosce meglio di noi!).
Come Google interpreta il search intent (e perché ci interessa)
Negli ultimi anni Google, con i suoi aggiornamenti algoritmici come BERT (2018), MUM (2021) o più recentemente SGE – Search Generative Experience (2023-2024) e le AI Overviews, la funzionalità di Intelligenza Artificiale Generativa integrata al suo motore di ricerca, ha cambiato totalmente il modo in cui interpreta i contenuti.
Oggi Google non si limita a leggere le parole inserite nella barra di ricerca, ma:
- Comprende il significato generale della query e il contesto in cui viene formulata.
- Analizza i legami tra concetti affini e tematiche connesse.
- Riconosce sinonimi, entità e varianti linguistiche.
- Interpreta l’intenzione che si nasconde dietro la ricerca, andando oltre la superficie testuale.
Insomma Google è dotato di intelligenza linguistica e premia tutti quei contenuti che che riescono a intercettare e soddisfare l’intento di ricerca reale: con completezza, chiarezza e pertinenza. Un bel tris di qualità che al tuo contenuto non possono mancare.
Se ancora non fosse chiaro: NON serve a NULLA inserire parole chiave in quantità industriale (fare il cosiddetto keyword stuffing) all’interno di tutte le pagine dei nostri siti web, anzi, Google ci penalizza per questo. E per fortuna, se pensiamo alle persone che leggeranno i nostri contenuti! Le uniche e vere protagoniste che dovrebbero avere le nostre “storie digitali”.
E adesso con AI Overviews (le risposte dell’AI di Google direttamente nella SERP), questo principio è ancora più vitale. I motori di ricerca non mostrano più solo la famosa lista di link blu: analizzano e riassumono contenuti, evidenziano estratti chiave, generano risposte dirette a domande anche molto complesse (proprio come fanno ChatGPT, Perplexity and friends).
Google però lavora su diversi fronti per migliorare la sua capacità di capire cosa vogliono davvero gli utenti. E lo fa anche grazie al lavoro dei cosiddetti quality raters, persone incaricate di valutare la qualità dei risultati in base alle linee guida ufficiali, le Search Quality Raters Guidelines aggiornate a gennaio 2025.
Queste valutazioni non influenzano direttamente il posizionamento, ma servono per “allenare” gli algoritmi: aiutano infatti Google a capire quali contenuti meritano davvero di essere mostrati per primi. In altre parole, permettono al motore di ricerca di diventare ogni giorno più abile nel riconoscere e premiare pagine pertinenti, originali e affidabili.
Un esempio concreto? Il Core Update di marzo 2025 ha spinto ancora di più in questa direzione: penalizzando contenuti generici, superficiali o duplicati e dando maggiore visibilità a quelli autentici, ben curati, scritti per rispondere davvero alle esigenze delle persone.
Se conosciamo le regole del gioco, possiamo costruire contenuti strategici, in linea con le aspettative di Google e con i bisogni reali dei nostri utenti.
Per ogni intento, il giusto contenuto
Quando si crea un contenuto, è importante chiedersi: a quale intento risponde? Una guida dettagliata funzionerà solo se l’utente cerca informazioni. Una landing page persuasiva serve quando è pronto a convertire.
Allineare contenuto, formato e intento può davvero fare la differenza nel ranking.
Osserva la SERP (è il primo tool gratis!) per capire che tipo di contenuti premia Google per ogni keyword: guide, elenchi, recensioni, video? Seguila come riferimento, per sviluppare il contenuto giusto.
Come riconoscere l’intento di ricerca
Puoi individuare il search intent grazie a diverse fonti:
- La SERP stessa: guarda i risultati che Google propone. Uno degli approcci più immediati, ma anche potenti, per comprendere l’intento dietro una keyword è quello empirico. Se inserisci la query che ti interessa nel motore di ricerca, potrai subito vedere quali tipi di contenuti si posizionano meglio nelle SERP, offrendoti così un’idea chiara su cosa funziona meglio e su cosa potrebbe fare al caso tuo.
- Le domande frequenti: nella sezione “Le persone chiedono anche” (o se preferisci in inglese People Also Ask) puoi trovare spunti interessanti da analizzare. Anche questo è un metodo gratuito e veloce per fare un’indagine preliminare in vista di una strategia SEO mirata.
- Strumenti SEO: come SEOZoom, Semrush, Google Keyword Planner, ti aiutano a espandere le query e le domande correlate per costruire contenuti completi e pertinenti.
Dal search intent alla strategia editoriale
Una volta definito l’intento, puoi trasformarlo in contenuti. L’obiettivo è costruire una mappa dei bisogni degli utenti e offrire risposte coerenti a ogni fase del loro percorso.
Per approfondire questo passaggio, dai un’occhiata alla nostra guida su come fare ricerca keyword in modo efficace. Scrivi testi che piacciono a Google e agli utenti.
Una ricerca delle parole chiave per la SEO può farti scoprire i problemi, le necessità e le esigenze dei tuoi futuri consumatori.
Detto in due parole: si parte dagli intenti di ricerca degli utenti e per ogni intento troviamo le keyword associate.
Non ci sono più i funnel di una volta: il percorso dell’utente nell’era del Messy Middle
I tradizionali funnel di vendita, con il loro percorso lineare dall’awareness alla conversione, sembrano ormai un lontano ricordo.
Oggi, l’esperienza dell’utente si sviluppa in modo molto più caotico e imprevedibile, nel cosiddetto “Messy Middle“. Questo nuovo paradigma descrive il periodo di indecisione tra il momento in cui un utente prende coscienza di un prodotto/servizio (o meglio della soluzione al suo problema/desiderio) e quando compie una decisione finale.
Durante questa fase, le persone navigano tra infinite opzioni, influenzate da informazioni a volte anche contrastanti, comparazioni di prodotti, recensioni e offerte speciali.
Insomma, dobbiamo abbandonare l’idea di un processo lineare e abbracciare una strategia più flessibile, che si adatti alla natura non prevedibile dei comportamenti di acquisto. L’approccio migliore non è più quello di spingere i consumatori lungo un percorso predefinito, ma di essere sempre lì, con contenuti pertinenti e rilevanti, per rispondere in tempo reale alle loro esigenze, in ogni fase del loro viaggio decisionale.
Ma c’è di più: pensando in questo modo, puoi conquistare anche una nuova specie di utente, il cosiddetto consumatore zero, quello che si nutre di contenuti basati su esperienze reali e autentiche.
Pensa ai bisogni reali degli utenti, non alle query
Alla fine, il cuore della SEO non sono le keyword, ma le persone.
Conoscere il search intent ti aiuta a costruire contenuti che parlano davvero agli utenti, rispondono ai loro bisogni, e migliorano l’esperienza online. È questo che porta risultati concreti, duraturi e sostenibili.